La nuova frontiera del Vescovo Ernesto

La nuova frontiera del Vescovo Ernesto

Un Pastore costantemente proteso a cogliere in anticipo i “segni dei tempi”


Il sentimento è un metro fedele della grandezza d’animo di una persona. Il pianto è uno specchio del tormento interiore che prende e arriva a sconvolgere una persona. Nella fattispecie un prete, parroco di Tenero-Contra, in piena agitazione per quanto gli è appena arrivato addosso – cioè la notizia della nomina a Vescovo della Diocesi di Lugano – prende l’auto e in un turbinio di scenari fa rotta sulla canonica di un confratello amico di antica data e gli scoppia in lacrime appena aperta la porta. Così ha voluto condividere d’istinto il suo tumulto. Don Ernesto Togni, appassionato della sua missione in una parrocchia che sentiva come una vera famiglia, quando ebbe la “comunicazione” vaticana della scelta di Paolo VI, partì per Moghegno, dove stava facendo un’esperienza pastorale don Pier Giacomo Grampa, don Mino per tutti. Una confessione, uno sfogo, un’analisi, un confronto, un rasserenamento. La rivisitazione di quella sera è stata fatta dal Vescovo Pier Giacomo, successore nel 2003 sulla Cattedra di San Lorenzo, il 14 novembre ai funerali di mons. Ernesto. Dall’omelia si è stagliato nitido il ritratto, con il relativo spessore, dell’uomo, prete e vescovo sceso a Lugano da Brione Verzasca. Dal luglio 1978, uno degli ultimissimi Vescovi fatti da Paolo VI, fino al 1986 questo Pastore che avvertiva da lontano l’odore delle pecore, ha guidato la Diocesi con passi e decisioni di rilievo e che segnano quegli anni del rinnovamento post-conciliare e post-sinodale così difficili e in larga parte ancora non attuati più di mezzo secolo dopo. 

foto Jo Locatelli

Le tappe di otto intensi anni di episcopato

Si va dalla “Presenza mariana” con la Madonna del Sasso che nel 1979 – 30 anni dopo la grande visita nelle parrocchie del Ticino – è stata concentrata nei Vicariati all’evento dell’arrivo a Lugano di Giovanni Paolo II nel 1985, passando per la nomina del nuovo direttore del “Giornale del Popolo” nel 1984: Silvano Toppi dopo 56 anni – una permanenza da guinness dei primati – con mons. Alfredo Leber, “pilota” a 24 anni al decollo del quotidiano cattolico voluto dal Vescovo Aurelio Bacciarini.

Negli 8 anni di episcopato, numerosi i momenti che hanno punteggiato il percorso e tra questi anche la Visita pastorale, rimasta purtroppo incompiuta, ma con un’impronta che è rimasta memorabile per il taglio dato. Nei limiti che gli impegni consentivano, Togni si tratteneva nelle parrocchie dove si recava: incontri con tutti dai bambini ai giovani, dalle donne agli uomini, dagli anziani ai malati. Situazioni, vicende, storie, sofferenze, speranze, fatiche, gioie e dolori. Si interessava molto all’emigrazione, ai molti ticinesi delle Valli sopracenerine in particolare, partiti verso l’America (facendo fortuna) o l’Australia (più sfortunata). Fu lì che nacque l’idea di allungare la sua Visita pastorale anche a quella parrocchia remota dove ormai si è giunti alla terza, quarta e quinta generazione di pionieri della valigia. Correva il 1982 quando prese l’aereo per gli Stati Uniti con tappe prima a New York, poi a San Francisco e Los Angeles. L’ultima ondata migratoria dal Ticino alla California avvenne negli anni tra il 1920 e il 1930. 

foto Jo Locatelli

Il termometro americano per la febbre del cristiano

Viaggio certamente non turistico o di piacere ma di esplorazione dei fermenti e delle tendenze del grande “laboratorio” americano, un termometro importante per misurare la temperatura e cogliere le intuizioni che il Vescovo raccontò, illustrò, confidò anche in un reportage epocale di un maestro in materia, Leo Manfrini andato al seguito del vescovo con una troupe della TSI. L’America già conosceva l’eclissi di Dio, che stava arrivando anche da noi, con l’estendersi di una piaga moderna come l’indifferenza, portata dal mito del progresso. La presenza di Dio era già diventata meno visibile oltre Atlantico e si sa che molti starnuti americani diventano poi polmoniti nel Vecchio Continente.

Nel Ticino si stava facendo idolo ciò che a 40 mila km, in America era già sugli altari: il denaro, la comodità, il lusso, il piacere, il divertimento, lo sport, il sesso. “E quando gli idoli prendono spazio, fatalmente finisce che se ne sottrae a Dio. Le due città, quella del bene e l’altra del male: che non si conciliano”. 

Qui e là, noi e loro, i vecchi con saldezze morali consolidate, i giovani con il relativismo che è andato diventando filosofia diffusa e ormai globale. Le due facce andavano sempre più ad assomigliarsi, come si vede bene dal deserto via via formatosi anche nelle chiese ticinesi. “Nei nostri paesi ci sono 2, 3, 4, anche 5, 6, 7 chiese. I nostri vecchi – disse Togni ai ticinesi di Los Angeles – nella civiltà contadina avevano pensato che al Signore non bisogna dare appena il minimo, ma piuttosto in abbondanza. A Dio bisogna dare senza calcoli”. 

Dopo questi tre anni di covid, la frequenza tra i banchi si è ancor più rarefatta. Dove stiamo andando? Dove arriveremo? Erano alcuni dei preoccupati interrogativi che si poneva il Vescovo. Quali i riferimenti che uniranno le comunità del futuro? Dove si troveranno punti di coesione? Togni avvertiva quasi l’ansia di individuare la nuova frontiera per il cristianesimo in questa modernità frastornante, trovando il coraggio fecondo di essere minoranza come Chiesa e dando testimonianza coerente di povertà, di attenzione agli ultimi, di vicinanza alle molte periferie, anche nei nostri piccoli agglomerati urbani rispetto ai calderoni ribollenti delle grandi città.

Riconosciamo che non è facile passare da una posizione di centralità e di potere, com’era fino a metà Novecento, a una di servizio e di valorizzazione del volontariato, di coinvolgimento e compartecipazione; da un’idea di Dio onnipotente nell’alto dei suoi cieli a un Dio senza troppe comode scorciatoie, un Dio di fragilità che si propone come padre e soccorritore sulle molte Gerico d’oggi, tra le molte vittime di una società efficientista, chiusa e sorda agli altri.

Il pensiero costante al “mistero dell’uomo”

La molteplicità di situazioni vissute da Togni a New York, San Francisco e Los Angeles 40 anni fa, ora è quotidianità diffusa ovunque nel Cantone. E quel che disse il Vescovo ai ticinesi emigrati e ramificati in California – “Qui ho pensato spesso al mistero dell’uomo” – va riproposto per noi, oggi, con le stesse premure: necessità di conoscere le persone più a fondo e non le conosciamo mai a sufficienza. Di più: “Non bisogna mai giudicare nessuno, piuttosto è importante conoscere la storia delle persone, cosa sta dietro le loro esistenze”. 

A San Francisco, una cantante gospel, accompagnandosi alla chitarra, mentre passava Togni, con voce struggente si rivolgeva alla gente distratta, con una domanda cruciale: “Gesù sta tornando, sei pronto ad accoglierlo?”.

Nella globalizzazione tutto si lega, dal personale al collettivo, da New York a Lugano, si avverte l’urgenza, come comunità di cittadini e come Chiesa, di uscire dal guscio dell’indifferenza, della rinuncia, dell’individualismo. Serve un risveglio dei valori, del soccorso vicendevole, dell’onestà, se non vogliamo diventare gente senza speranza e sempre più sola, tendenze purtroppo in crescita rapida.

Al punto in cui ci ritroviamo oggi dopo la devastazione planetaria del covid, con il ripiegamento in noi stessi e la lunga scia di diffidenza, sfiducia, egocentrismo, forse è vero che la nostalgia di Dio è un problema eminentemente moderno, più nostro, oggi, di quanto non sia mai stato sofferto nei tempi andati.Un’ultima annotazione che serve a capire ancora di più di quale pasta era fatto don Ernesto: nei molti incontri non solo professionali che ho avuto con Vescovi di varie latitudini geografiche e pastorali, raramente ne ho incontrato uno come lui che ricordasse i nomi dei familiari e ti chiedesse della moglie e dei figli. Per quel che so, credo non avesse neppure un telefonino e se l’avesse, gli serviva solo per comunicare a voce. Il suo algoritmo era la memoria collegata dritta al cuore.