La quotidiana difficoltà di essere missionari

La quotidiana difficoltà di essere missionari

Tornare al Vangelo, con la passione dei primi cristiani


Quando è arrivata la lettera di Luigi che avete letto a pagina 2, il tema di questo numero di Spighe era già stato deciso. Volevamo parlare dell’essere missionari. Gran parte degli articoli erano già arrivati. Una domanda mi è corsa veloce nella mente: e adesso? Preoccupazione per il numero che doveva uscire e raggiungere le vostre case, preoccupazione soprattutto per la nostra Azione Cattolica. Ho dovuto prendermi un momento per pregare e respirare; poi ho preso il telefono e mi sono confrontata con Corinne. 

Abbiamo concordato che il numero dovesse uscire così, come era stato pensato, anche se probabilmente avrebbe messo in luce maggiormente la nostra fragilità. D’altra parte è questo che siamo, fragili, piccoli. Abbiamo bisogno dell’aiuto e del sostegno della Chiesa e di Cristo in ogni momento per poter andare avanti. 

Quello che è successo in AC, in realtà è quello che succede quotidianamente nelle nostre vite. Vorremmo tanto portare avanti un ideale, ma spesso la realtà della vita è altro. E allora per raggiungere un obiettivo dobbiamo chinare il capo, mediare, renderci conto delle nostre povertà, pregare, unirci, ripartire. La realtà ci pressa, ci chiede di “rendere”, ci mette sempre in ottica di “dare”. Si crea allora un gap fra quello che dovremmo essere e quello che in realtà facciamo.  Sono in crisi. E allora fermarsi è utile per riprendere il giusto contatto con la realtà, per guardarsi negli occhi, per ricalibrare gli obiettivi. Fermarsi diventa segno di coerenza. 

Spesso mi è stato utile in passato per capire come potevo migliorare, come persona, come cristiana.  

Torno ad interrogarmi rispetto a quelli che per me sembrano modelli irraggiungibili. 

Ma chi è un missionario? Per essere missionari occorre lasciare tutto e andarsene? Cosa c’entra con me? Ho sempre quel senso di inadeguatezza quando leggo le loro storie e io … sono qui “comoda” nella mia terra, sul mio divano. 

Salto fra una pagina e l’altra in internet, cercando una risposta. Sono i tempi moderni; trent’anni fa mi sarei trovata con i miei amici di AC, a S. Rocco e con Don Carmelo avremmo cercato una risposta riflettendo, fra le pagine della Bibbia. Ora son connessa a tutti ma sola, alla ricerca.

Ma ecco, una semplice frase mi colpisce: “Il suo compito è portare un aiuto concreto a chi soffre, seguendo il Vangelo”. Continuo a leggere il testo cercando di capire chi furono i primi missionari: gli apostoli!

Continuo alla ricerca del luogo della missione; trovo un’intervista a Monsignor Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna che ci dice che occorre “riprendere la passione per la città, guardare il mondo intorno a noi non con diffidenza o estraneità. Guardarlo, invece, con la simpatia immensa di cui parlava Paolo VI; immergerci andando per strada come ci dice oggi Papa Francesco”. (1 ottobre 2016)

Forse posso farlo anche io. Aiutare i sofferenti, come mi dice il Vangelo (implica che io debba conoscerlo), come fecero i primi cristiani, guardando a chi sta vicino a me con passione e non con diffidenza. Mi si chiede di vivere la Chiesa! 

Una Chiesa in ascolto e preghiera, come ci dice il nostro Vescovo; alla ricerca della nostra identità, secondo le possibilità che ci saranno date. 

Un’occasione ricca per tornare ad essere, senza bisogno di fare. Sono pronta per il 2020!