La cultura della cura è la nostra sfida per il 2021

La cultura della cura è la nostra sfida per il 2021

La pace è grazia e cammino di conversione


Spesso quando comunemente si parla di pace, si pensa ad un contesto in cui non vi è guerra. Ma è solo questa la pace? Quel “Il Signore ti dia pace”, tanto caro ai francescani, può essere banalmente tradotto in “Ti scampi il tuo Dio dalla guerra”?  E anche se fosse, di che guerra stiamo parlando? 

Nell’ambito delle cure palliative, quando verifichiamo come sta la persona, lo facciamo a 360 gradi. Domandiamo quindi anche: “Si è sentito in pace con sé stesso?”

Nei primi periodi del mio lavoro credevo che le persone avrebbero avuto delle ritrosie a rispondermi, invece questa domanda è sempre stata ben accolta. Ha portato a belle condivisioni. Spesso precedute da un momento di silenzio, in cui la persona cercava dentro di sé la risposta. 

Questo mi ha portato a comprendere che la pace, quella di cui parliamo ora, sta dentro di noi. Ma cosa alimenta la pace, qual è la fonte?

Questo è quello che esploreremo in questo numero di Spighe. Vi invitiamo in questo viaggio interiore che si manifesta però sul mondo esteriore. Perché chi è in pace è portatore di pace, ma non solo: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9).

Papa Francesco, nel messaggio per la cinquantaquattresima giornata della pace, ci ha illustrato una vita per costruirla: la cultura della cura. Gesù buon pastore e buon Samaritano quali esempi per vincere la cultura dell’indifferenza.  Nella prima comunità cristiana i fratelli si sostenevano e condividevano, in modo che nessuno fosse bisognoso. Era normale prendersi cura dei più fragili. Fare offerte per i poveri, essere vicini agli anziani, sostenere le vittime delle calamità. Assolutamente fattibile anche oggi. Quante realtà bisognose ci sono accanto? Non solo in termine materiale. 

Quel malato o quella madre single che magari avrebbe bisogno di una mano coi figli. E quel vicino un po’ burbero che forse vive un’esistenza in solitudine? Non occorre andare lontano. Mio figlio, che a scuola proprio non riesce ad andare bene e ha bisogno di sentirsi amato comunque, anche nella sua imperfezione. Quante volte in una sola giornata potremmo mettere in atto la cultura della cura e dell’accoglienza ed essere operatori di pace? 

La cultura della cura non si ferma al “vicino di casa”, cresce e travalica i confini. Si parla di promozione della dignità di ogni persona umana, della solidarietà con i poveri e gli indifesi, della sollecitudine per il bene comune, della salvaguardia del creato. 

Questo tempo difficile può essere una grande opportunità per tutti noi. Ora abbiamo il tempo di volgere quello sguardo dentro di noi e di chiederci se adesso siamo in pace. Chiediamoci cosa ci può far stare meglio e se stiamo cercando di diventare ogni giorno di più operatori di pace.  

Il saluto “Il Signora ti dia pace!”, di cui ci scrive Sor. Chiara, sia seguito dagli atti della nostra presenza e coerenza. Come dice Anna, “Insegni quello che sei, prima ancora di quello che sai”. Cerchiamo di uscire dal nostro individualismo, per il bene comune, come suggerito da Giulio. Ricordiamoci che, vivendo le relazioni, la pace è sempre una scelta possibile; sta a noi farla. (Pietro).  Questo perché, come ci fa presente Gianni, si tratta di un cammino di grazia, ma anche di conversione.