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Insegni per quello che sei, prima ancora di quello che sai.
LA PACE. O ALMENO UNA TREGUA
Tutto ciò che è umano è impreciso, caotico, incompleto. La pace vive nel mondo degli ideali, come il bene, la verità, la giustizia, la bellezza. Tra noi e lei c’è un lungo cammino, fatto di tanti tentativi di avvicinamento, forse faticosi, ma che tolgono territorio all’inferno.
Continuiamo a cercare la pace, la pace perpetua, anche se la storia dovrebbe averci insegnato che la pace è solo una tregua che regge, nei rapporti interpersonali così come nei rapporti tra le nazioni.
Sarà perché durante l’inattesa pandemia del Covid 19 ho imparato ad accontentarmi, ecco, io mi accontenterei anche di una tregua.
Per arrivare a questa tregua c’è una cosa che dobbiamo ancora acquisire e sulla quale dobbiamo continuamente lavorare: l’incapacità di odiare, la forza di riuscire a provare compassione per chi ci ha ferito.
Sembra impossibile, eppure a tendere bene l’orecchio questa forza si sente risuonare anche nei campi di sterminio, per esempio ad Auschwitz, dove il 9 agosto 1942 morì, uccisa in una camera a gas, Edith Stein, la monaca cristiana canonizzata Santa nel 1998 da San Giovanni Paolo II. Ecco le sue parole:
Chi porrà fine a tutte le guerre?
“Solo chi non permetterà a queste piaghe
aperte dall’odio di generare altro odio;
chi, pur rimanendo vittima di tanto astio,
prenderà su di sé il dolore
tanto di chi odia,
quanto di chi è odiato”
Uccisero i corpi, annientarono la speranza…. Ma l’odio no, non riuscirono a farlo attecchire nel suo cuore.
Come anche nel cuore di Antoine Leires, che nella strage del Teatro Bataclan di Parigi del 13 novembre 2015 (93 vittime) perse l’amata moglie Helene, madre del suo bambino di 17 mesi, e postò sui social questo messaggio rivolto agli assassini:
“Non avrete il mio odio… Rispondere all’odio con la rabbia sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi ciò che siete… Allora non vi farò questo regalo di odiarvi”.
Certo non è facile, e neppure comodo, né spontaneo, né indolore. E, ricorda Papa Francesco, “Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile” (Lettera Enciclica Omnes Fratres, 241).
A volte riesce, a volte no. Ma quando riesce, è di un’ineguagliabile bellezza.
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A livello mondiale, il processo di costruzione della pace ha bisogno di quella “bussola” che Papa Francesco ci suggerisce nel Messaggio per la celebrazione della 54ª Giornata della pace: la cultura della cura, la preoccupazione sociale, la sollecitudine verso i fratelli più fragili.
Nel nostro tempo si acuiscono le disuguaglianze all’interno delle Nazioni e fra di esse e, afferma Francesco, “si stanno creando nuovamente le condizioni per la proliferazione di guerre… ma ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato” (cfr ibid, 257-261).
In “Omnes Fratres” c’è un preciso imperativo morale: la pace.
Dentro di noi ci sono tanti semi di diversa natura, positivi e negativi; se coltiviamo i semi di pace, essi si comportano come degli anticorpi: quando un virus della violenza entra in circolo nel sangue, gli anticorpi lo accerchiano, se ne impadroniscono e lo trasformano. Allora dobbiamo coltivare questi semi di pace, affinché nei momenti difficili ci siano d’aiuto. Ogni tanto chiediamocelo: sto coltivando semi di pace? Sto lavorando per quella gentilezza che Papa Francesco (cfr ibid, 222) indica come stato d’animo che sostiene e conforta?
Sono un esempio per i giovani? Personalmente, in 42 anni di lavoro educativo nella scuola, ho capito principalmente una cosa: si apprende per osmosi, in un certo senso si assorbono i sentimenti, le convinzioni, le competenze che un educatore cala nella relazione educativa, che è l’unica in grado di attivare dei processi di crescita nell’alunno.
Insegni quello che sei, prima ancora di quello che sai.
Vale dunque la pena di lavorare su noi stessi, perché ciascuno di noi può fare la differenza e spostare, almeno di un millimetro, questo mondo verso la pace. E poi, chi ci dice che non sia proprio quello il millimetro decisivo?
Del viaggio a Cracovia e Auschwitz che ho effettuato nel 2019, dopo il mio pensionamento (penso che ognuno di noi almeno una volta nella vita dovrebbe, potendo, recarsi ad Auschwitz per un avvicinamento emotivo a come si possa ripartire dopo una devastazione, con una devastazione), ho un chiaro ricordo della visita al Museo di Schindler, il “Giusto” che salvò la vita a 1.200 ebrei. Nella sua fabbrica di oggetti smaltati (quella del pluripremiato film del regista Steven Spielberg, Schindler’s List, del 1993) è stato allestito un percorso che ricostruisce la storia della città polacca nel tragico periodo dell’occupazione nazista 1939-1945. Si tratta di un percorso interattivo, che francamente ho compiuto in un crescendo di angoscia e orrore di fronte alle testimonianze della possibilità di tanta crudeltà umana. Ma al termine, finalmente sono arrivata in una stanza circolare, la “Stanza della scelta”; sulle pareti si leggevano nomi e cognomi di coloro che si sono battuti per la giustizia, che si sono schierati dalla parte dei deboli, anche a rischio della propria vita, come fece Schindler. Non hanno fatto finta di non vedere. Hanno scelto il bene. E sono riusciti a fare la differenza.
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Cura è la parola chiave del 2021, secondo anno di pandemia, e l’anno che verrà sarà fatto di ferite da medicare, di pratica della cura, di processi di guarigione. Di gesti che cercano di tranquillizzare, rassicurare, placare, lenire il dolore, accarezzare, ridare dignità e speranza, a fronte di un virus invisibile agli occhi che ha fatto coriandoli delle nostre certezze e dei nostri tentativi di programmare il futuro. Non è la prima volta che questo succede nella storia dell’uomo.
Una favola scritta nel 1969 dallo psicologo Claude Steiner, “Il paese dei caldo-morbidi”, sembra una metafora di quanto sta accadendo nel nostro mondo, e tenta di insegnarci a utilizzare modalità di comunicazione non violente (caldo-morbide) in alternativa a espressioni violente (freddo-ruvide).
Narra di un luogo dove vivevano persone felici, in cui purtroppo un giorno fece irruzione una strega cattiva che creò una situazione di sospetto, paura, diffidenza. Le persone non riuscivano più a scambiarsi contatti “caldo-morbidi”, gentili e vellutati, e iniziarono a comunicare con oggetti “freddo-ruvidi”, sgradevoli e rattristanti. La vita si raggrinziva ed era diventata un inferno…
… Finché, un bel giorno, giunse in quel paese sfortunato una donna florida e graziosa, portando il suo sorriso limpido e cordiale. E riprese a regalare oggetti “caldo-morbidi” a tutti, a partire dai bambini, e piano piano tutti ripresero a sentirsi bene…
Il 2021 sarà migliore solo se saremo capaci di avere più cura, di noi stessi e di chi ci sta accanto, scambiandoci messaggi “caldo-morbidi” e stabilendo da subito una tregua con i nostri rancori. E che sia la più duratura possibile!
Auguri. Shalom!!