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“Siamo tutti affamati d’amore!”
Le due conversioni di Santa Teresa di Calcutta
“E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed erediterà la vita eterna”. (Matteo 19,29)
Ecco Madre Teresa potrebbe essere l’emblema dell’esempio del discepolo ideale che ha messo in pratica queste parole di Gesù: lei ha lasciato tutto, e così ha chiesto di fare a chi a sua volta l’ha seguita, ricevendone il centuplo nell’aldiquà, e la vita eterna nell’aldilà.
Purtroppo, non ho avuto modo di incontrare personalmente questa santa, morta il 5 settembre del 1997, ma sono venuta in contatto con le suore “missionarie della carità” (congregazione di cui lei è stata fondatrice).
Anni fa, ero stata in una loro casa, situata in un quartiere periferico di Genova, per l’inserimento di una persona in difficoltà che allora seguivo nella mia azione di volontariato. Le suore, tutte molto giovani, vivevano in un ambiente molto semplice, con regole di vita quotidiana molto spartane (ad esempio niente lavatrice, niente caloriferi…). Mi raccontarono quindi un po’ la loro vita, così come Madre Teresa aveva insegnato loro.
Il cuore della giornata era nella preghiera, nell’adorazione eucaristica e nella Messa per trovare la forza di accogliere ogni persona come se fosse Gesù.
Non solo, ma un giorno alla settimana era off limits per tutti. Era dedicato allo Sposo. Trovare in Lui il nutrimento e il sostentamento da condividere con gli altri. Come si legge nella loro Regola: “Dar da mangiare agli affamati: non solo di cibo, ma anche di ogni Parola che viene dalla bocca di Dio” e “Dar da bere agli assetati: non solo di bevande, ma di ogni conoscenza spirituale, di verità e giustizia”.
Allora mi colpì molto la luce negli occhi di queste giovani seguaci di Madre Teresa, che indossavano sandali senza calze, pur in inverno, e trasmettevano la gioia e l’amore, pur nella massima povertà.
E non cercavano aiuti pubblici per la loro opera, che era verso gli ultimi degli ultimi: emarginati che non trovavano posto da nessun’altra parte, perché privi di quei requisiti minimi.
La loro fiducia era solo nella provvidenza, fatta di piccoli gesti.
“Quello che facciamo è una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe un goccia in meno!”
Quando Madre Teresa fu criticata da alcuni di ricevere denaro da persone con trascorsi non così esemplari, rispose che si doveva dar modo a chiunque di fare del bene!
Mettendosi nelle mani del Creatore è diventata, come lei stessa amava definirsi, “la piccola matita di Dio”. E, in lei e attraverso di lei, Dio ha manifestato la sua magnanimità e il suo amore che non ha limiti, se non quelli che diamo noi.
Ripercorriamo ora le tappe salienti della vita di questa donna.
Agnes Gonxha Bojaxhiu nacque nel 1910 a Skopje da genitori albanesi. Entrò giovanissima nell’Istituto delle suore di Nostra Signora di Loreto, prendendo il nome di suor Mary Teresa del Bambin Gesù, passando quindi circa vent’anni ad insegnare in una scuola privata a Calcutta. Fuori dall’Istituto però c’era un altro mondo: poveri che si accasciavano per strada morendo, soli e abbandonati; poveri che contendevano qualche avanzo di cibo con i cani o i topi…
Il 10 settembre 1946 sul treno polveroso che la portava a Darjeeling ebbe come lei stessa la definì “la vocazione nella vocazione”, cioè la chiamata di Dio a dedicarsi come suora al servizio degli ultimi. Era necessario lasciare il convento, ma volle rimanere nell’obbedienza ai suoi superiori. E quindi in un’escalation di richieste fino al Papa, ricevette finalmente la possibilità di rispondere alla chiamata ricevuta. Lasciò il convento e l’abito nero tipico della congregazione e indossò il sari, vestito tradizionale delle donne indiane, di cotone bianco con striscia azzurra, colore dedicato alla Vergine Maria, con un piccolo crocifisso sulla spalla, che divenne così l’abito per le “Missionarie della carità”.
Iniziò la sua nuova avventura e la sua “seconda vita”, diventando Madre Teresa: la sua missione era stare vicino a tutti coloro che nessuno ha mai amato, “gli scarti” della società.
Si fece prossima al morente solo e abbandonato, portandoselo a casa, accompagnandolo alla morte, dopo averlo pulito, curato, sempre con una carezza.
Lei stessa raccontò che per superare l’istintiva ripugnanza doveva aggrapparsi con tutte le forze a Gesù, per poter vedere in quella persona il Suo volto.
Attorno a lei una dopo l’altra l’affiancarono alcune ragazze, che erano state sue allieve. E poi tante altre, a cui nel tempo si aggiunsero anche dei “fratelli”. E così l’opera nata dalla “sua seconda chiamata” divenne sempre più ampia, uscendo dai confini dell’India e dell’Asia.
Il suo apostolato si allargò a tutti i reietti dell’umanità. Ma se nei Paesi del Sud del mondo i bisognosi erano soprattutto coloro che morivano per fame e/o malattia, in quelli del Nord del mondo la piaga più grande era la solitudine.
“La fame d’amore è molto più difficile da rimuovere che la fame di pane”.
Madre Teresa aveva capito che il non sentirsi amati aveva purtroppo una serie di conseguenze. Lei mobilitò le sue suore ad accogliere persone che volevano uscire da dipendenze (droga, alcool…), madri sole con bimbi, persone che si trovano a vivere per strada, malati di Aids,…
Tutta questa attività era sostenuta dalla preghiera. Incessante.
Sempre più minuta – per non dire curva, invecchiata ed affaticata – sempre più fragile, affetta anche da varie patologie, sapeva tirar fuori dal viso rugoso un sorriso caldo ed amorevole, che era più avvolgente di un abbraccio. Lei sempre con la coroncina del Rosario in mano, immersa nella preghiera, anche tra uno spostamento e l’altro (viaggi sia per fondare nuove Case della congregazione sia perché per la sua fama veniva chiamata ovunque).
Ricevette premi e onorificenze, e nel 1979 anche il Premio Nobel per la pace: per l’impegno per i più poveri tra i poveri, il suo rispetto per il valore e la dignità di ogni singola persona.
Al momento della consegna del premio (dopo aver chiesto di rinunciare al banchetto sontuoso previsto per la cerimonia, chiedendo che l’equivalente della somma fosse dato ai poveri) quando le fu data la parola, senza temere il giudizio umano, invitò i presenti a unirsi a lei nella recita della preghiera di San Francesco d’Assisi: “Signore fa’ di me uno strumento della tua pace, perché dov’è odio io possa portare l’amore”. E dopo aver ricordato a tutti la chiamata a vivere il dono della pace, fece un breve discorso che è un po’ la sintesi della sua missione. Disse:” A mio parere, il più grande elemento di distruzione della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un diretto assassinio, da parte della madre stessa”. Oltre quindi a parlare dei poveri, a cui manca il necessario per vivere, ma mantengono il sorriso e l’altruismo, raccontò un fatto che le era accaduto in Europa, a casa di persone anziane.
“Vidi che in quella casa avevano di tutto, cose di grande valore, ma guardavano sempre in direzione della porta. E che nemmeno uno in quella casa sorrideva. Mi volsi alla Sorella che mi aveva accompagnata e le chiesi: “Come mai questa gente a cui non manca nulla non sorride mai? E perché continuano a guardare in direzione della porta?” E la Sorella mi spiegò: “Fanno così praticamente tutti i giorni. Aspettano, sperano che uno dei figli venga a trovarli. Sono tristi perché sono dimenticati da tutti”.
Anche in una situazione pubblica ed ufficiale, seppe portare un messaggio d’amore e di verità.
Nel 1997 morì. Riconosciuta popolarmente da subito come santa, venne però dalla Chiesa cattolica proclamata beata nel 2003, e poi canonizzata nel 2016 da papa Francesco.