Vedi l'ultimo numero
Beati coloro che ascoltano la parola di Dio
Con l’unione di orecchie e cuore
Sentire e ascoltare: sembrano due verbi molto simili tra loro ma la definizione etimologica e filologica della lingua italiana pone un abisso immenso tra i due, tanto più se li consideriamo con gli occhi della spiritualità e delle relazioni interpersonali e sociali, e così lo spartiacque è servito! Me ne rendo conto nella mia quotidianità, quando cioè pongo una domanda a qualcuno ma non interiorizzo la risposta, ad esempio chiedendo il nome di una persona e dimenticandolo un istante dopo: questo per me è sentire, prestare cioè orecchio, l’udito e basta. Quando invece ricordo persone o avvenimenti a distanza di anni, è perché al momento dell’evento mi sono posto nell’atteggiamento dell’ascoltare, dove la compromissione ed il coinvolgimento personale è più marcato perché c’è vicinanza ed empatia. Volendo allora immaginare a tutti i costi una differenza tra questi due verbi, potrei subito chiedermi: “sono più propenso a sentire o ad ascoltare?” Se ripercorriamo la storia della salvezza, dall’Antico Testamento a Gesù Cristo, questi due verbi sembrano rincorrersi quasi a gareggiare per chi arriva primo al cuore dell’uomo perché si confronti in modo maturo con la Parola di Dio e la sua presenza nella nostra vita ma…. sentendo o ascoltando la sua voce? Israele è invitato ad ascoltare la Parola di Dio (Shemà Israel) così come ce lo riferiscono i brani della Torah, ma l’uomo moderno ne è davvero capace? La lingua tedesca usa il verbo fühlen: sentire, percepire, quindi la Parola può essere solo sentita/percepita ma non ascoltata? Nell’Annunciazione, Maria sente o ascolta le parole dell’angelo? Da dove nasce la sua obbedienza “ob audere” alla volontà di Dio? Obbedisce perché ha sentito o ascoltato? Troviamo altri passi interessanti nella Scrittura a questo proposito: “Lo sapete, fratelli miei carissimi, sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all’ira” (Gc 1,19), “Ma Gesù disse: beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,28), “Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica…” (Mt 7,24), “Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare” (Fil 4,9), “Al mattino ascolta la mia voce…” (Sal 5,4) e così via. Lasciando da parte l’esegesi dei testi sacri che mi trova decisamente incompetente, credo che nell’ascolto delle due categorie di persone che mi si presentano regolarmente nel servizio pastorale affidatomi, la cappellania del carcere e delle cure palliative, mi venga richiesto molto di più un atteggiamento che vada nella direzione dell’ascoltare e non solo del sentire. Attraverso il sentire cerco comunque di interiorizzare quanto confidato perché ne possa nascere una conoscenza reciproca con le persone private della libertà così come con chi si prepara a morire, ma è attraverso l’ascolto che meglio riesco ad essere accanto agli altri con fedeltà, attenzione e vera partecipazione del mistero racchiuso nella vita. Bene ha scritto il profeta Isaia: “Ogni mattina (il Signore) fa attento il mio orecchio” (Is 50,4) e ritengo che questa sia una delle sfide della cristianità contemporanea: ascoltare e non solo sentire quello che le persone ci dicono e, nel limite del possibile obbedire, come Maria, alla volontà misteriosa di Dio e, pur non comprendendo, essere capaci di custodire nel cuore.