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Aspettare un rimprovero, ricevere un abbraccio
Rilettura della parabola del “Padre misericordioso”
Una vita insieme: anni felici d’infanzia, adolescenza di scoperte, giovinezza di nuovi orizzonti. Poi improvvisamente quel figlio se ne va. Delusione? Incomprensione? Voglia di nuove scoperte? Di chi la colpa?
Padre
Quale colpa? Un giorno ha deciso di andarsene e se n’è andato. Gli avevo dato tutto: l’amore, i soldi, le cose di cui necessitava. È una colpa amare? Se n’è andato lontano, oltre quella collina, oltre il mio cuore stanco e solo. Forse non l’avevo capito o forse lui non poteva più capirmi. È una colpa l’incomprensione? Da una generazione all’altra il tempo scava un fossato: lento, amaro, spietato. A tratti le parole non significano più nulla e cadono nel vuoto. Rimaneva il mio amore, ma lui se n’è andato. Ogni sera salgo su quella torre, ogni giorno con una manciata in più di fatica per guardare lontano.
Figlio
Ma quale colpa? Volevo andarmene e me ne sono andato. Una scelta di vita. Il desiderio di nuove esperienze, di uno spazio più ampio e più mio. Ho preteso però la mia parte. Forse è stata questa la mia colpa.
La lontananza però tradisce le attese, la nuova esistenza non appaga il coltivato desiderio, il piacere soffoca lentamente ogni slancio di vita. Delusione, amarezza e sconfitta riportano un anelito di certezza e forse di amore. Il volto del padre, smarrito nell’ansia di andare, ritorna nitido, mentre il vuoto fa valanga nel cuore come il ricordo. Ma tu, padre, perché l’hai tanto atteso, nonostante l’amarezza e la sofferta delusione di quella partenza?
E tu, figlio, perché sei tornato?
Padre
È difficile educare, specialmente quando i valori sembrano cambiare a ogni folata di vento e le certezze diventano inafferrabili come manciate di acqua. Quanti sbagli possono esserci nella vita di un padre, ma anche quanto amore. Sta tutta qui la mia risposta: l’amore non si stanca mai di attendere; non può stancarsi.
Figlio
Perché sono tornato? Perché ero solo, perché avevo bisogno, perché forse, in fondo, amavo ancora.
Una sera gli occhi appesantiti e stanchi scorgono qualcosa nell’orizzonte di polvere, contro il sole del tramonto. E tu, padre, gli sei andato incontro. Cos’era per voi quell’istante?
Padre
Attesa, tensione, speranza, dolore diventavano sintesi profonda del cuore in quell’istante. L’intera strada percorsa vibrava in quel brevissimo spazio di tempo, che superava ogni barriera. Ritrovare, accogliere, abbracciare erano amore e silenzio che valeva più, molto di più, di tante parole.
Figlio
Attenderti un rimprovero e trovare un abbraccio; aspettarti un castigo e vederti festeggiato; pensare a uno sguardo freddo e capire di essere soltanto amato. Sono esperienze insolite, ma tanto forti. Cadevano incomprensioni, rivalità, divergenze. Lui mi parlava con il suo silenzio e il suo perdono.
Forse un giorno tu ripartirai nella tua inquietudine di andare?
Tu, padre, lo attenderesti ancora?
Padre
Non si può ipotecare il futuro, perché il rapporto fra le persone è fragile, delicato, ma per questo prezioso. Basta poco per rovinarlo.
Forse un giorno questo figlio ripartirà, ripercorrendo ancora quella strada di polvere e sassi che conduce lontano. Io l’aspetterò, sempre, sino alla fine. L’accoglienza e il perdono non conoscono confini e il loro orizzonte sfiora l’infinito.
Un padre può amare soltanto così.
Figlio
Me ne andrò ancora? Forse. L’inquietudine fa parte del nostro cuore. Anche se dovessi ripartire verso l’invitante sole di un orizzonte misterioso e lontano, so che ritornerò, certo di essere ancora accolto e perdonato.