Chi eravamo, chi stiamo diventando

Chi eravamo, chi stiamo diventando

Stili di vita e comportamenti tra ieri e oggi. Ci abbiamo guadagnato o perso?


Gli stili di vita protrattisi fino a metà Novecento si somigliavano un po’ dappertutto e in particolare nelle regioni dell’arco alpino. Più che la politica e la storia erano il territorio e la geografia a omologare. Nelle Valli in particolare c’erano costumi, valori, tradizioni, modalità, criteri collaudati e cristallizzati dai secoli, confrontati all’improvviso con le conquiste della scienza, della ricerca e della tecnica che nelle città giungevano prima e si consolidavano più in fretta. Nel susseguirsi delle trasformazioni, che talvolta sono anche di breve durata, sopraffatte dalle nuove in arrivo, non sono riuscito a stabilire se fossero più rassegnati i nostri predecessori o i contemporanei. Di sicuro le generazioni passate possedevano più saldezze interiori di noi. Se incappavano in scogli da superare, non cedevano allo sconforto, ma si rimboccavano le maniche e reagivano, anche per non andare a fondo. Prendo a prestito una citazione da Massimo Gramellini: “Il rassegnato dice che farà sempre più freddo e non resta che mettersi il maglione. Il realista si mette un maglione e va ad accendere il fuoco”.

I giorni di festa in Valle Maggia

Mi piace qui riportare la testimonianza di Fausta Della Vedova nella descrizione che fa – con molta autobiografia – del vivere in Valle Maggia: sono molte le affinità alpine, protrattesi fino a metà Novecento e anche oltre. 

Cominciamo dalla sveglia, che suonava sempre presto, anche di festa. «Non si scappava… tutti a Messa. Da notare che in certi periodi la funzione cominciava alle 8. Non è che, almeno da bambini, fossimo spinti da particolari sentimenti di fede.

Servivano chierichetti. Gli altri, seduti con un po’ di rassegnazione, e sforzandosi di starsene tranquilli su quei banchi, ghiacciati in inverno, e qualche volta, quando i bisbigli e le risate contenute a fatica “sbottavano” attirando l’attenzione dei presenti, venivano fulminati dallo sguardo di papà Clemente. Poi di corsa a casa, a scaldarci i piedi gelati. Mamma Alice stava cucinando con la grande padella in rame (circa 60 cm di diametro) appesa alla catena del camino. Menu, patate rosse (in umido con la salsa al pomodoro), una vera leccornia. E in dispensa – così chiamavamo il locale cucina – la pentola in alluminio borbottava sulla stufa a legna, espandendo l’odore del bollito in tutta la casa. E la tavola? Anzi, le tavole. Poiché quando la famiglia c’era tutta, con l’aggiunta dello zio Piero (fratello di Alice, ospitato in casa negli anni 50) e di qualche collaboratore, i deschi erano due. Il più ampio in sala, dove potevano accedere gli adulti, in età decrescente sino a riempire tutti i posti disponibili. I “piccoli” si sistemavano in dispensa. Dove spesso si dava “fuoco” alla fantasia rielaborando a piacimento il menu. Polenta arricchita con confettura o melassa di vario genere; la sfida era lanciata e allora vai! Polenta dai colori impossibili, mescolata con forza sino a sembrare uno sfornato… Oppure le uova sbattute. Qui la gara stava nel vedere chi, di volta in volta, riusciva a rendere l’albume più compatto. La prova? Capovolgere la tazza: tiene! Caso contrario vi lascio immaginare…».

Le slitte e gli sci fatti in casa

Interessante per diffusa analogia anche il quadretto di Fausta sulla fede. «Quella, come per incanto lievitava nell’imminenza del Natale. Periodo in cui con un “guarda che se non siete bravi Gesù Bambino quest’anno non viene” ci facevano filare come non mai. La febbre saliva con l’avvicinarsi del 25 dicembre. Già durante il periodo della Novena – ai più grandi era permesso di salire sul campanile a rabatt – si cominciava a pregustare l’evento. A volte, la sera, attorno all’albero di Natale illuminato con candeline vere, si cantava tutti assieme il Natale: “Tu scendi dalle stelle” e “Astro del ciel” erano le più gettonate. La notte della vigilia? Un vero fermento. Sistemati sulla tavola una quindicina di piatti, un po’ di sale e tanti sogni, si andava a letto presto. Ma il sonno tardava. Piccoli “fantasmi” si aggiravano a piedi nudi, incuranti del gelo dei corridoi, per spiare ogni più piccolo rumore. E c’è da giurarci che la fantasia galoppava. Nei racconti del risveglio c’era chi il Bambin Gesù l’aveva visto per davvero… Lascio immaginare l’assalto al tavolo dei desideri, fatto che avveniva solo dopo il benestare dato da mamma Alice. Per ognuno mandarini, torroni, spagnolette, vestiario e anche qualche gioco. E allora guardare, confrontare, giocare, una vera festa».

Erano comunque molti i punti di convergenza, le analogie nelle abitudini e nei comportamenti. Pensiamo ad esempio a quante slitte sono state preparate e quanti sci forgiati da papà o zii o nonni nei mesi estivi per i divertimenti invernali di figli e nipoti. I legni scelti per essere trasformati in sci venivano messi a mollo e poi infilati in un buco del muro con sopra un sasso o un peso per dare forma alla punta. Con fili di ferro ed elastici si “fissavano” rudimentali attacchi di fortuna e alé sui pendii innevati dei prati.

E c’erano incombenze per ogni fascia d’età

Quando sbocciava la primavera e fino a giugno, dalle stalle in paese, vicino a casa, si accompagnava la mandria di mucche, con capre e pecore, alle stalle sui monti: oggi sarebbe molto problematico occupare a lungo strade, percorse da un forte traffico, con impazienza di tutti gli utenti. C’erano incombenze per tutti, ragazze e ragazzi, donne e uomini.

Chi non ha mai visto nelle antiche corti o sui muretti davanti a casa, genitori e nonne confabulare tra loro a sera, fare il punto alla giornata, osservare i giochi e interrogarsi sul futuro dei discendenti, di cosa avrebbero fatto da grandi, come avrebbero affrontato le responsabilità della vita… Poi le prime uscite in libertà, il “permesso” da chiedere al papà o alla mamma, le solite raccomandazioni, gli orari di rientro, la vigilanza severa. 

Attese, desideri, speranze, sogni. Fausta Della Vedova è entrata anche in quei giardini «dove lasciar emergere il proprio paesaggio interiore, con le gioie e le aspirazioni, ma anche con il dolore e le preoccupazioni legate al divenire adulto». Processo al quale non si sfugge ed ecco un’altra conclusione su cui sostare nella nostra quotidianità di continue fughe in avanti: «Salvo rare eccezioni, allora era così in tutte le famiglie. Per i sentimenti più profondi non c’era spazio. Non andavano manifestati: non stava bene».