Vedi l'ultimo numero
Col bastone e coi sandali
Testimonianza, condivisione e fraternità
Carissimi lettori di Spighe, non ci piove! Essere scalzi è pericoloso non tanto per i passi, ma per gli ostacoli che il territorio può offrire. Un torrente, una selva con spine di castagno, un vetro calpestato mentre ci si rinfresca il piede nel torrente, una serpe, uno scorpione… I sandali sono un’armatura a portata di mano e semplice, poco costosa. Le difficoltà nel nostro cammino della missionarietà possono essere molte. L’indifferenza delle persone a cui ci si rivolge, la contrarietà di altri, la scusa che non hanno tempo per i contenuti del Vangelo e per la persona di Gesù Cristo…
Avere i sandali ai piedi significa costanza nel trovare pertugi d’annuncio che si allontanano dalla “predica” che, come laici, squalifica la nostra testimonianza e il nostro annuncio. Avere i sandali ai piedi significa fare ordine nella nostra giornata per trovare il tempo di fermarsi con il viandante, per ascoltarlo. Avere i sandali è avere persone mature e significative che ci possono consigliare.
Non sono sufficienti i sandali ai piedi, occorre appoggiarsi al bastone. Il bastone ti lascia libera una mano per alzare la veste quando corri il rischio di calpestarla e poi cadere. Il bastone ti serve per superare lo scalino troppo alto. Il bastone ti serve per darti forza nella stanchezza…
Nella missionarietà il bastone è un punto di appoggio per non camminare sul posto e non essere ripetitivi come un disco che ha un solco segnato. Il bastone è prevenire la propria vulnerabilità perché ci sono risposte che ci irretiscono e ci ammutoliscono. Avere il bastone è condividere con altri e con il gruppo le nostre esperienze, per trovare risposte da offrire nel prossimo incontro con la persona alla quale abbiamo promesso di studiare la situazione, per comprendere meglio la volontà di Dio.
Leggendo attentamente il brano evangelico di Marco 6 – 13 troviamo qualcosa che precede questo modo di camminare: “e prese a mandarli a due a due”.
Come mai a due a due? Per mostrare la fraternità e la credibilità del Vangelo. Senza l’altro non esiste la missione. Andare a due a due significa avere dietro la comunità della parrocchia; essere inseriti in una testimonianza coerente con quella annunciata in altri luoghi e in altri villaggi. Ci si vede missionari, a due a due, perché abbiamo già compiuto il cammino della condivisione degli ideali. Chi ci incontra è rassicurato perché traspare che abbiamo risolto le difficoltà sorte a causa delle differenze e delle idee diverse. Ci si presenta come persone che sono d’accordo e in accordo con il medesimo Cristo che vive in noi e nella comunità. Rende, me e l’altro, certi della presenza di Cristo Gesù perché ha detto: “Dove due o più sono radunati nel mio nome, io sono presente in mezzo a loro”.
C’è qualcosa che pesa in una delle tasche della tunica. Ah, sì: l’orcio dell’olio!
Sì perché si va ad annunciare il vangelo, ma anche ad ungere i malati perché Cristo li guarisca con l’olio? Ce n’è in tutte le case, ma è possibile incontrare il lebbroso che vive fuori casa e lontano dall’abitato. Si incontrano gli emarginati, chiamati così perché sono fuori dai margini della comunità. Avere con sé l’orcio dell’olio non è un peso per il quale occorrerebbe o il sacco o la bisaccia. Una tasca è sufficiente! Con l’olio la missionarietà è la consegna dell’amore agli ultimi ed è l’obbligo di fermarsi con gli ultimi per dire loro che non sono assolutamente soli, perché Cristo è con loro ed è loro forza e sostegno. È la loro salvezza.
Buon viaggio, missionario in AC!