Costruire la pace attraverso la relazione educativa

Costruire la pace attraverso la relazione educativa

Un contributo dal terzo Festival della Dottrina Sociale


Il 9 e il 10 dicembre a Massagno si è svolto il terzo Festival della Dottrina Sociale, promosso dalla Rete Laudato Sì (coordinata da Alessandro Simoneschi), sul tema: “La pace in un mondo di guerra: temi, tesi e testimonianze”.  Una due giorni che ha visto un instancabile Markus Krienke (professore della Facoltà di Teologia di Lugano) porre le basi di un network per la pace tra le tante associazioni di ispirazione cristiana presenti sul territorio ticinese.

Tra le numerose testimonianze, proiezioni e pièce teatrali, l’UFCT ha partecipato alla tavola rotonda: “E’ possibile educare alla pace e alla nonviolenza?”.

Tutti i docenti e i formatori presenti sono stati concordi sul fatto che “essere per la pace” è il primo compito educativo. La pace infatti è una competenza, non un sentimento spontaneo; richiede esempio, allenamento, anche su noi stessi, per liberarci costantemente dalle tossine dei nostri rancori. Ciascuno di noi può mettere in campo comportamenti violenti, oltrepassare la linea tra il bene e il male: tutti abbiamo la capacità di amare, ma anche di fare del male. Siamo “buoni” quando riusciamo a entrare in empatia con gli altri, a provare compassione per loro e se necessario ad anteporre i loro bisogni ai nostri; siamo “cattivi” quando non entriamo in empatia, siamo attenti solo ai nostri diritti e desideri, non ci sforziamo di vedere il mondo attraverso la prospettiva degli altri, non riusciamo a sintonizzarci sulle loro emozioni e sofferenze.

Lungo lo spettro del comportamento umano, la maggior parte di noi si trova da qualche parte tra gli estremi del buono e del malvagio: “Non bisogna dividere le persone in buone e cattive” (Papa Francesco). Ciò che conta è che l’empatia o la mancanza di empatia non sono fisse, pertanto empatia, altruismo e gentilezza possono essere acquisiti attraverso una relazione educativa. Illuminante in questo senso è stato l’intervento di Elena Bernasconi Tabellini, formatrice certificata del Centro Internazionale di Comunicazione Nonviolenta, che ha illustrato il Progetto “Educare con empatia”, da lei svolto con bambini, docenti, genitori. Il suo approccio nasce dagli studi di Marshall Rosenberg sulla comunicazione nonviolenta. Si tratta di un metodo, diffuso in tutto il mondo, per migliorare il linguaggio che usiamo: spesso cadiamo nella trappola della “comunicazione sciacallo” fatta di minacce, giudizi e rimproveri; dovremmo invece utilizzare un linguaggio assertivo, non giudicante, che non fa paragoni, non accusa. I docenti si formano in tal senso imparando a dare spazio all’ascolto dei propri alunni e a usare meno spesso punizioni, castighi, pretese, che nella realtà dei fatti ottengono ribellione o vergogna e fanno sparire la gioia di apprendere. Dobbiamo però praticare questa “Self Compassion” anche verso noi stessi, cercando di accettarci nelle nostre imperfezioni e imparando a perdonarci, oltre che a migliorarci.

In questa fase storica i nostri adolescenti sono ragazzi fragili che nel disordine e nello sconcerto creato da due anni di pandemia e in seguito dalle malvagità della guerra cercano un senso, provando una sorta di “disincanto” di fronte a ciò che vedono in TV e sui social. Ci sono adolescenti di 17 anni che hanno perso due anni preziosi di crescita, ed emotivamente è come ne avessero 15. Solo una narrazione che possa restituire senso può salvarli e far rinascere la speranza. Cristina Vonzun, Direttrice del Centro Cattolico Media di Lugano e insegnante al Liceo di Bellinzona, ha spiegato come attraverso la presentazione di storie concrete positive di pace, perdono, riconciliazione, i ragazzi riescano a superare il disincanto e la fatica che vivono sulla propria pelle. È l’incontro con la bellezza che consente loro di credere ancora nella possibilità di migliorare questo nostro mondo.

Ma è opportuno parlare anche ai più piccoli della guerra, di questa guerra in Ucraina, entrata così prepotentemente nel cuore dell’Europa? La risposta è sì, perché i bambini percepiscono e sanno molto di più di quanto noi adulti pensiamo, e a volte non ne parlano per non turbarci: sono molto attenti al nostro benessere! Freud sosteneva che quando un bambino fa una domanda, è pronto per la risposta: quindi parliamogli di quanto sta succedendo, ovviamente adeguando le risposte all’ età, e soprattutto raccontando storie che non nascondano le brutture, ma siano storie positive di resistenza e umanità. Il racconto dell’adulto è fondamentale, perché, come scriveva lo psicanalista James Hillman “Le parole sono cuscini, disposte nel modo giusto alleviano il dolore”. Don Marco Dania, parroco a Lugano Besso e docente di religione alle scuole elementari, ha sottolineato che i bambini oggi sono tutti stressati, agitati (esattamente come noi adulti), e occorre rapportarsi a loro con leggerezza, a volte proponendo anche momenti di silenzio e tecniche di respirazione profonda. Soprattutto, occorre farli riflettere su quella che è la regola aurea in tutte le religioni: “Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facciano a te”. Ad esempio, di fronte a un atto di bullismo, occorre chiedere: “Se fossi stato tu a ricevere quel gesto, come ti saresti sentito?”.  Si deve insegnargli a riconoscere le proprie emozioni e a controllarle; a “mediare” pacificamente i conflitti, a trasformare i litigi in momenti di crescita. 

Anche il vicerettore del Collegio Papio, Paolo Scascighini, utilizza strumenti pedagogici quali il “Consiglio di cooperazione” per creare a scuola un clima di pace e contrastare le tendenze al bullismo, oggi effettivamente in aumento. Dato che non esiste pace senza giustizia, occorre che le relazioni educative siano fondate sulla giustizia e su comportamenti virtuosi. Occorre infatti educare alla virtù più che ai valori: dai discorsi non impara nessuno, è più efficace l’educazione del fare di quella del dire. 

Il professor Giovanni Ciani, avvocato e docente all’Istituto Elvetico, ha illustrato una pratica educativa che svolge con le classi che gli sono affidate: si tratta di far capire ai ragazzi cosa significhi davvero la guerra, non quella dei film o dei videogiochi; il Professore accompagna i suoi alunni al “Museo per la memoria di Ustica” di Bologna dove sono esposti i resti del DC9 dell’Itavia che il 27 giugno 1980 fu abbattuto, mentre era in volo da Bologna a Palermo. Sopra il relitto dell’aereo, le 81 vittime della strage sono ricordate attraverso altrettante luci che si accendono e si spengono al ritmo di un respiro. Si tratta di un’esperienza molto forte, che rende immediata ai ragazzi la necessità della pace. 

Parliamo con i nostri ragazzi della guerra, non assuefiamoci al ruolo di spettatori: “Non dobbiamo permettere che il nostro cuore e la nostra mente si anestetizzino davanti al ripetersi di questi orrori contro Dio e contro l’uomo” (Papa Francesco). Ed esortiamoli alla moderazione, alla mediazione, al compromesso: “Per combattere il drago, non dovete diventare draghi a vostra volta” (Hannah Arendt).

No, la pace non è finita, come qualche geopolitico ha affermato dopo che il 24 febbraio dello scorso anno la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina. La pace è un percorso, mai pienamente del tutto compiuto, fatto di tregue più o meno lunghe: dobbiamo lavorare perché una tregua possa iniziare, e soprattutto perché prosegua il più a lungo possibile. 

La pace potrà essere un’utopia, ma le utopie, si sa, fanno camminare gli uomini; rileggiamo la profezia di Isaia: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4). E allora per ciascuno dei nostri sforzi potremo dire: “Ne è valsa la pena!”.