Farsi prossimi per lenire il dolore del mondo

Farsi prossimi per lenire il dolore del mondo

La forza della condivisione


Tra i tanti, un video-simbolo mi resterà impresso della guerra scatenata da Putin: centinaia, forse migliaia di ucraini inginocchiati per le vie di Kiev al passaggio del mini-convoglio che, partito dalla Cattedrale, portava l’Eucaristia in salvo in un bunker. Sotto un cielo freddo, grigio, minaccioso e sempre più “russo” ci hanno mostrato cosa significhi resistere di fronte a continui massacri e atrocità. Proprio come quel gruppo di ebrei che, nascosto in una cantina di Colonia per tutta la durata della Seconda guerra mondiale, lasciò scritta sui muri questa frase: “Credo nel sole, anche quando non splende; credo nell’amore, anche quando non lo sento; credo in Dio, anche quando tace.”

Ancora una volta sono coloro che passano dalle prove più dure a testimoniarci la forza della fede, del sentirsi in comunione con Qualcuno che ci intreccia tutti e ci trascende.

Ci servirebbe una “porta girevole” per riportarci indietro al 23 febbraio, giorno prima dell’inizio della guerra. Forse “comunione” era proprio il concetto che si stava facendo strada da alcuni decenni, e che nonostante avesse subito una battuta d’arresto a causa della pandemia (durante la quale ci siamo tutti chiusi in casa come “Hikikomori”, gli adolescenti giapponesi che avevano iniziato prima dei nostri a barricarsi nelle proprie stanze, consegnando l’anima al computer) riusciva a stringere gli individui in una relazione volta alla solidarietà reciproca.

Soprattutto i giovani avevano iniziato a riconoscersi nel valore della “condivisione” (sharing), erano loro che facilmente si trovavano a condividere le proprie abitazioni fra amici; sono stati inizialmente loro a praticare il car pooling, la condivisione delle automobili per scambiarsi passaggi, e a condividere freneticamente messaggi e meme sui social.

Anche tra i politici stava emergendo un nuovo valore di civiltà, la “coesione sociale”, ovvero l’obiettivo di favorire nei cittadini il senso di appartenenza a una comunità che protegge e sostiene, la volontà di rafforzare il coinvolgimento tra le persone (etimologia di coesione: “essere strettamente uniti”). 

Poi, all’improvviso, di nuovo la guerra: un’esplosione di brutalità straziante e devastante che ha bombardato i nostri sogni di andare verso una civiltà pacifica e sostenibile; pensavamo di essere dentro un periodo di evoluzione sociale e spirituale che abbracciava l’intero pianeta, e invece di evolvere siamo collassati nell’orrore di una guerra troppo uguale a quella raccontata dai nostri nonni e bisnonni… 

E ancora una volta saremo chiamati a ridurre il danno, a riparare il mondo. Dovremo ricucire le divisioni prodotte dalla guerra. Chissà se riusciremo, come vuole il precetto, a “comunicarci almeno a Pasqua”? (A volte per curare certe ferite servono generazioni…).

Intanto non dimentichiamo di rimboccarci le maniche, se serve fin sulle spalle: “E’ importante nella vita fare qualcosa gratuitamente, senza pretendere nulla in cambio”.

Comunione è comprendere che siamo un intreccio, un groviglio inestricabile di gruppi etnici: “Non posso farti del male senza ferire anche me”.  La strada da percorrere è quella che ci indica lo scrittore Tahar Ben Jelloun: “Resistere: non abituarsi mai al dolore del mondo”