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Il lungo tempo dei volti mancati
NOI E GLI ALTRI DOPO QUESTI TRE ANNI TERREMOTATI DAL COVID
Chi riuscirà a stabilire, a commisurare, a soppesare quanto inciderà in ciascuno di noi il volto velato per prudenza anti-covid, a più riprese in questi tre anni che ci siamo lasciati alle spalle, mai vissuti prima e che speriamo di non dover più replicare in futuro? Per mesi siamo stati costretti a mascherine multicolor, con l’azzurrino superstar.
Ci ricorderemo, forse a vita, delle nostre fisionomie coperte, prigioniere in nome dell’incalcolabile valore della salute. Quanto è stata opprimente per molti la costrizione alla faccia semivelata, ridotti a comunicare solamente con lo sguardo, specchio dell’animo e del sentire!
Nessuno potrà mai fare il calcolo:
- delle privazioni, dei limiti e divieti subiti e patiti;
- delle solitudini inflitte e moltiplicatesi a dismisura;
- delle diffidenze e del crollo di fiducia nei rapporti;
- della caduta persino della stima in sé stessi e nelle proprie risorse interiori;
- delle insicurezze, dei dubbi, dei “forse” che hanno fatto irruzione nel nostro vivere.
Impenetrabili prima della mascherina
È pur vero però che anche in tempi di normalità ci si attrezzava a “mascherare” quel che di noi non volevamo lasciar trapelare attraverso gli occhi del nostro corredo interiore di emozioni e sentimenti, preoccupazioni e affanni. Comportamenti di ordinaria quotidianità: quante volte, prima di Wuhan e del confinamento per legge, ci “blindavamo” nell’espressione del viso, per non far sapere, non lasciar filtrare o intuire? Ciascuno può fare una sommaria verifica personale di quanti paradossi è stato portatore e interprete per non svelarsi agli altri. Poi, di colpo, da quell’ormai lontano marzo 2020 quando la nostra libertà fu mutilata, ci siamo sentiti affamati di ciò che prima volevamo dissimulare o sfumare! Ci vuole una privazione per scoprire un valore.
Occhi e sguardi primi messaggeri
Per mesi abbiamo sperimentato come sono stati proprio gli occhi e gli sguardi i primi messaggeri a parlarci in silenzio, a trasmetterci attese, stupori, trepidazioni e scoramenti e speranze. Massimo Grilli ha voluto indagare il volto come “epifania e mistero”: si dice comunemente che l’uomo “ha” un volto, ma sarebbe meglio dire che “è” un volto. Che al pari del nome, costituisce l’identità della persona, perché rivela soggettività e rapporto, irripetibilità e molteplicità, “già” e “non ancora”, insomma, ci appartiene e ci nasconde. È quanto di più intimo e familiare ci possa essere: con gli occhi, le orecchie, la bocca, testimoni della polifonia del volto e della responsabilità che ogni persona ha di ascoltare, di rivolgersi all’altro, di dirgli “Tu”.
Nel volto, icona di identità personale e alterità, avviene una sorta di prodigio: l’incontro del nostro “io” con il “tu” che gli sta di fronte, per plasmare un “noi”, che non è dissolvimento o affastellamento, ma accoglienza e compimento.
Mostrarsi senza bavaglio è sempre regola di prossimità civile. Esser titolari di una faccia è privilegio della sorte per poter dire: “Io sono io, tu sei tu…”. Eravamo tutti impazienti di tornare a guardarci come Madre Natura ci ha fatti: che è linguaggio diretto, prima ancora che si parli, cogliendo dettagli e sfumature della visione integrale di chi ci sta davanti.