Imparare a ricevere e dare cura

Imparare a ricevere e dare cura

Un ciclo di incontri prezioso quello promosso dall’UFCT a Lugano


Il Cardinale Martini era solito citare un antico proverbio indiano, secondo il quale ci sono quattro tappe nella vita di una persona: nella prima si impara, nella seconda si insegna e si servono gli altri, nella terza si riflette, nella quarta si diventa mendicanti. Il quarto tempo è quello della vecchiaia, in cui si dipende dagli altri: è quello che non vorremmo mai, ma dobbiamo riconoscere che tutti prima o poi abbiamo bisogno di cura. Imparare a dare e ricevere cura è stato l’obiettivo del ciclo di incontri organizzato dall’Unione Femminile Cattolica Ticinese presso la Casa delle Suore Brigidine a Lugano lo scorso mese di maggio.

Nel presentare le lezioni la Presidente Corinne Zaugg ha sottolineato come i gesti di cura non abbiano sesso, genere, ma siano qualcosa di costitutivo dello stare al mondo di tutti noi.  Collegandosi agli studi della filosofa Luigina Mortari, Corinne ha analizzato il lavoro di cura attraverso le azioni che lo caratterizzano: occuparsi (ovvero fare cose concrete donando tempo all’altro), pre-occuparsi (nel senso di prenderci a cuore l’altro, tenerlo nei nostri pensieri), premurarsi e avere devozione (pensate alla devozione che la madre ha per il proprio bambino: si consacra a lui, che è un valore inviolabile). Diversi gli spunti per la crescita personale: la cura va offerta nella dose giusta (anche l’eccesso, il sostituirsi all’altro non va bene: cura non è allacciare le scarpe a un bambino, è insegnargli a farlo), al momento giusto (cura personalizzata, inventata giorno per giorno). 

Durante il primo incontro Don Sergio Carettoni, Cappellano della clinica luganese Moncucco, si è soffermato sull’importanza che ha la cura nella creazione del futuro. Abbiamo la percezione di trovarci di fronte a un cambio d’epoca: pensavamo che il futuro sarebbe stato migliore del passato, poi questa nostra convinzione è venuta meno perché l’epidemia di covid 19 e la devastante guerra in Ucraina ci hanno ricacciati sul fondo delle nostre paure.  Ma il futuro che verrà sarà quello che semineremo adesso: fra 50 anni vivremo in un altro tipo di società, e tutto dipenderà da quello di cui abbiamo cura adesso.

Durante il lavoro di assistenza spirituale ai malati di covid svolto presso l’Ospedale Moncucco Don Carettoni ha rilevato come la presa in carico del malato sia andata spesso, e per fortuna, oltre i protocolli di cura: una carezza, una parola, una mano sfiorata non venivano registrati nella cartella clinica, ma sono stati doni inestimabili per il malato. Ci sono stati infermieri che hanno pregato con i pazienti che ne avevano desiderio, e Cappellani che si sono seduti accanto ad atei che gli hanno consegnato le loro ultime parole. Ecco ciò di cui avere cura: la persona umana.

Durante il secondo incontro Simona Segoloni Ruta, docente di teologia e saggista, ha spiegato (vedi il suo testo “Gesù maschile singolare”, Edizioni Dehoniane 2020) che la cura in origine era qualcosa di delegato alle donne, ma Gesù è stato un modello maschile che nella sua vita ha attinto molto dal “femminile” della cura.  Gesù nei vangeli è riconosciuto perché sfama, spezza il pane e nutre gli altri, lava loro i piedi, tutti gesti di cura. La cura è un’urgenza interiore, perché anche chi cura trova la propria autorealizzazione. Segoloni ha sottolineato anche come attualmente la Chiesa sia iniqua nei confronti delle donne, tardando a riconoscere la loro piena cittadinanza al suo interno. La Chiesa però è una comunità che apprende, e il cammino sinodale in atto potrà portare a una maggior apertura al ruolo delle donne.

Monsignor Ivano Valagussa, Vicario per la formazione del clero della diocesi ambrosiana, attraverso la parabola del buon samaritano ha introdotto le azioni che trasformano un incontro in una relazione di cura: vedere, provare compassione, farsi vicino. La cura è anzitutto vicinanza, prossimità. Papa Francesco ha spesso usato la metafora della Chiesa come “ospedale da campo”, luogo di accoglienza dove poter pregare, trovare conforto, cibo e ristoro per 365 giorni all’anno: decisamente una Chiesa con tratti femminili! A tratti commovente l’ascolto proposto della canzone di Simone Cristicchi, “Abbi cura di me”: “Ognuno combatte la propria battaglia… non giudicare chi sbaglia. Perdona chi ti ha ferito, abbraccialo adesso. Perché l’impresa più grande è perdonare se stesso”.

Il terzo ed ultimo incontro del 28 maggio è stato dedicato al tema “La cura tradita”.  Nel documento preparatorio per il Sinodo 2021 -2023 si fa riferimento apertamente alla “sofferenza vissuta da minori e persone vulnerabili a causa di abusi sessuali…”.  Se si ama davvero la Chiesa la prima reazione è quella di denunciare questi fatti, che ne minano la credibilità; perché, se riconosciamo qualcuno come guida spirituale, desideriamo, anzi pretendiamo che sia meglio di noi.

Paola Lazzarini Orrù, presidente dell’associazione “Donne per la Chiesa”, ha svolto un’attenta disanima degli abusi che purtroppo hanno ferito adulti e minori vulnerabili. Pur nella drammaticità del problema, sono emersi spunti di grande sollievo: proprio il giorno prima del nostro incontro il nuovo presidente della CEI, Cardinale Matteo Maria Zuppi, ha finalmente annunciato per il prossimo 18 novembre la predisposizione del 1° Report sui casi di abuso avvenuti nell’ambito della Chiesa italiana. Decisione che è arrivata in risposta ai numerosi appelli a tutela delle vittime, appelli  cui ha dato un grande impulso la stessa Lazzarini.

L’ultima parola è stata lasciata allo psichiatra e psicoterapeuta Graziano Martignoni, che ha sottolineato come il problema della cura tradita riguardi l’intera società e tutte le istituzioni: Chiesa, scuole, case per anziani, ospedali… Occorre promuovere le pratiche della “buona cura”, giocata nel triangolo di tenerezza, mitezza, gentilezza. Ruolo fondamentale ha la formazione di tutti gli operatori dediti alla cura, ai quali va fornita una sorta di “cassetta degli attrezzi” fatta di sguardi accoglienti, parole ospitanti, disponibilità all’ascolto. E anche rifiuto dell’arroganza, di tutte le forme di violenza, della copertura degli abusi.

Ecco lo svelamento del segreto della cura, detto con le parole di uno dei grandi Maestri di Martignoni, lo psichiatra Eugenio Borgna: “Solo l’esperienza del dolore ci consente di intuire cosa si svolga nel segreto dei cuori lacerati, e cosa possa essere loro di aiuto; le parole che curano nascono in noi solo quando ci siano, o ci siano state in noi, le tracce talora indicibili della sofferenza. Sono le cose, queste, che ci dice Emily Dickinson in una sua breve, ma bruciante poesia: Ad un cuore spezzato/nessun cuore si volga/se non quello che ha l’arduo privilegio/d’avere altrettanto sofferto.”

Non sempre si può guarire, ma sempre si può curare.