La lontananza non si misura in chilometri

La lontananza non si misura in chilometri

Intervista impossibile ai due discepoli di Emmaus


“La lontananza sai è come il vento”, cantava anni fa Domenico Modugno, sottolineando che la vera ed esistenziale lontananza non va misurata in chilometri, ma nell’orizzonte del cuore. È la stessa esperienza dei due discepoli che si stavano allontanando da Gerusalemme, come scrive l’evangelista Luca.

“In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo” (Luca 24,13-16).

L’evangelista riporta anche il tuo nome, Cleopa. Eri uno dei due di cui scrive. Ti ascoltiamo.

Da Gerusalemme a Emmaus: una manciata di chilometri. Strada amara, arida, senza vento. Polvere e sabbia, come i ricordi ormai vuoti. Inseguire una speranza, un sogno, un invito, e risvegliarsi senza più nulla davanti. Meglio non aver sperato, piuttosto che averlo fatto invano. Una strada scialba e un triste ritorno. 

Ma perché tanta tristezza nel vostro cuore, lungo quella strada?

Camminavamo, sentendo che la nostra speranza era stata sepolta nell’oscuro tramonto d’un triste venerdì della storia. Tutto era stato soltanto un’illusione. 

Quel Gesù, che avevamo seguito, era finito su una croce, condannato con vigliacca cattiveria, quasi fosse un malfattore qualsiasi. 

Il vostro passo era stanco e amare le vostre parole, molto amare. Ma poi…

S’avvicinò un viandante, che forse aveva ascoltato i nostri discorsi. Un compagno occasionale: un tratto di strada assieme e non l’avremmo più rivisto. Un viandante strano, misterioso, come un pellegrino.

Cosa pensavate mentre stavate arrivando?

Era un triste ritorno; sulle prime ombre veleggiavano le fioche luci della sera, affacciata sulla notte. Avremmo ritrovato il caldo buono della casa, ma non sarebbe stato come prima. I ricordi erano ormai una violenta valanga nel nostro cuore, come i progetti falliti. 

 Voi stavate giungendo a casa, mentre quel misterioso viandante avrebbe proseguito lungo la sua strada. Come lo avete salutato?

Solo due parole, come una preghiera: “Resta con noi”.

Avevamo bisogno che parlasse ancora, rompesse i nostri ricordi, portasse uno spiraglio di luce nella notte del nostro cuore.

E lui rimase.

Non solo; ci rivelò il suo volto, ci fece capire che la speranza va oltre l’illusione e che la strada da Emmaus a Gerusalemme si apriva nuovamente per il nostro cuore. 

Ma cos’è questa strada di cui continui a parlare?

È ovunque la strada di Emmaus, nel suo andare e venire, come ritmando il tempo e l’attesa. Manciata di chilometri che percorre l’esistenza e il nostro cuore. Pellegrini di speranza dentro un tempo e uno spazio che non ci appartengono. Allora ho capito.

Cosa hai capito, vuoi spiegarlo? 

Quando l’angoscia disegna il vuoto, c’è sempre, all’angolo insperato d’una buia strada di polvere, un viandante, dolce e misterioso, forte e sublime. Attende o già cammina accanto, silenzioso ma vero. Basta avere ancora il coraggio o l’ansia o la forza per dirgli, sussurrargli, chiedergli: “resta con noi, Signore, perché si fa sera”. E lui rimane. Sempre.