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La pace come scelta del cuore
La relazione con Dio determina il mio stare nel mondo
Qualche tempo fa partecipai ad un seminario online effettuato da un famoso “Mental coach”, durante il quale veniva illustrato un approccio alla vita nel quale trovare la pace interiore che venne definita come una “sensazione di benessere fisico e di quiete mentale e psicologica”.
L’idea di benessere da ricercare nel percorso proposto veniva associata ad un concetto di equilibrio statico, stabile, nel quale trovare una normalità ideale come uno scatto fotografico felice da protrarre nel tempo. Quando ascoltavo queste parole qualcosa non mi quadrava.
Nel 2008 M. Kobayashi e T. Maskawa hanno ottenuto il Premio Nobel per la fisica, per la formalizzazione di un principio che afferma che la rottura dell’equilibrio simmetrico è la condizione che produce la realtà: la realtà, quindi, è sempre squilibrio e in questo squilibrio non esiste stasi.
La vita, in questo senso, è sempre movimento e quindi costante instabilità, almeno fino alla morte, unico luogo in cui effettivamente non ci saranno problemi, dolori, interruzioni e sorprese improvvise. L’idea di una vita in pace come una vita senza problemi, scossoni, imprevisti è un inganno ed è interessante riflettere su quante siano le similitudini tra l’ideale contemporaneo di benessere e la morte.
Certamente la pace proposta dal Mental Coach non è la stessa pace che Gesù intende darci: è Cristo stesso che ha voluto sottolineare la differenza tra la Sua Pace e il surrogato di Pace mondana che oggi spesso viene proposta:
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. (GV, 14-27).
In una delle sue Catechesi di quest’anno, Papa Francesco si è soffermato sulla settima beatitudine: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” spiegando che “La pace di Cristo è frutto della sua morte e risurrezione” e va distinta dalla pace mondana “per cui la parola pace viene intesa come una sorta di tranquillità interiore – sono tranquillo, sono in pace – questa è un’idea moderna, psicologica e più soggettiva. Si pensa comunemente che la pace sia quiete, armonia, equilibrio interno”.
Come il Santo Padre ci ricorda la Pace è un Frutto dello Spirito Santo (Gal 5, 22) e in quanto tale non è un punto di partenza ma è il risultato di un processo.
La parola greca per descrivere la pace è “eirene” dalla quale deriva Irenico, ossia Pacifico. È interessante notare che il concetto di pace nella cultura greca coincide sempre con l’assenza di guerra ed è assente il concetto di pace interiore che appartiene invece alla cultura ebraica. “Shalom” (pace in Ebraico) rimanda invece ad un’abbondanza e ad avere un buon rapporto con tutto quello che mi circonda e per esempio essere ben messi in guerra, rappresenta uno stato di pace.
Oggi il concetto dello “stare in pace” viene perseguito sottraendosi ai conflitti, eliminando il problema senza affrontarlo. Io posso stare in pace con una persona perché mi sono riconciliato con lei ma può essere vera pace quella basata su un “accordo di non belligeranza” sulla base del quale non ci diamo fastidio a vicenda?
Non come la dà il mondo io la do a voi.
La pace ellenistica è appunto una pace che dipende dalla situazione, da come si configura il contesto o da come si comportano gli altri nei nostri confronti.
Cristo dà la pace in altro modo.
Se mi trovo in un contesto difficile e conflittuale, se il mio matrimonio è in crisi, se in ufficio i rapporti con i colleghi o con il capo sono pessimi, posso avere pace? Se la pace me la dà il contesto, o cambia la situazione o devo cambiare contesto.
La pace che Gesù intende darci è invece una pace che posso avere anche in una situazione di conflitto, indipendentemente dal contesto.
La pace di Cristo è una scelta profonda del cuore: io posso avere sempre motivi per essere in guerra, per ricordare i torti subiti, per alzare muri per essere in contrasto con qualsiasi persona conosca. Ma posso anche avere altrettanti motivi per cercare la pace in queste relazioni.
La pace è sempre possibile ed è una scelta che spesso non facciamo.
Vi è però un pericolo, che è diametralmente opposto rispetto all’idea di pace ellenistica: passare dall’estremo che vuole che la pace dipenda dal mondo esterno alla deriva individualistica un po’ new age secondo la quale gli altri possono stare male l’importante è che io stia in pace, sostanzialmente uscendo dalle relazioni conflittuali. Deriva che porta con sé anche il concreto rischio spirituale di cercare di essere in “pace” anche con Dio indipendentemente dal rapporto con gli altri.
La pace non può essere autentica se nega il mio essere che è relazionale e basata su un atteggiamento che non può essere chiuso in sé stesso ma che va verso l’altro.
Non sta in pace chi resta indifferente di fronte ad una critica ma bensì chi ama chi gli sta di fronte.
Gesù non ci ha detto di essere indifferenti davanti ai nemici ma di amarli e questa capacità è un dono che viene dallo Spirito Santo.
Il luogo della pace duratura è sapere stare con gli altri, non può essere l’assenza di relazioni che è invece la morte. E questo stare con gli altri è difficile e spesso ci sembra toglierci la pace.
Papa Francesco ci ricorda però che spesso “è il Signore stesso che semina in noi l’inquietudine per andare incontro a lui, per trovarlo. (…) Mentre può capitare che la tranquillità interiore corrisponda ad una coscienza addomesticata e non ad una vera redenzione spirituale”.
“Tante volte il Signore deve essere ‘segno di contraddizione’, scuotendo le nostre false sicurezze, per portarci alla salvezza: in quel momento ci sembra di non trovare pace, ma è il Signore stesso che ci mette su questa strada per trovare la pace che lui dà”.