La pace e la guerra in noi

La pace e la guerra in noi

Una diversa presenza nel mondo e in famiglia


Mare di Bisceglie, 5 agosto ore 5:50. Le prime luci del sole salgono dall’orizzonte, e il cielo si tinge di deboli tinte pastello lasciando un vago ricordo delle tenebre della notte costellata di stelle. L’aurora sul mare, un’attesa sospesa che riempie il cuore di estatico stupore e apre alla vita di un nuovo giorno. Facciamo esperienza di pace davanti alla distesa infinita del mare, o, come declama mirabilmente Ada Negri, nell’atmosfera silenziosa e sospesa di una nevicata invernale; così termina una sua splendida poesia sull’atmosfera di neve: “Tutto d’intorno è pace; / chiuso in oblio profondo / indifferente il mondo tace”. Pace nell’intimo, tensione verso il nuovo giorno, momenti che si fermano e chiedono di godere dell’attimo, profondamente. 

Uscire da questo stato significa rituffarsi nel vorticoso fluire delle nostre giornate, zizzagare tra strade, vie e sentieri dove si incontra la gente, si sente il vociare di uomini e donne, si vedono motorini e macchine sfrecciare, e i cellulari illuminare i visi assorbiti negli schermi. Tutto è in movimento e sembra ricordare che la pace è un ricordo lontano, è un’esperienza di pochi istanti. Se ci chiedono “cosa sia per noi la pace” dobbiamo fermarci come a riprendere tra le corde del nostro cuore il sentimento vissuto per pochi attimi lungo la giornata e a fatica ripreso nei momenti di arresto. Pace è una condizione fugace e a ricordarcelo continuamente, come uno schiaffo sonoro sul viso, sono le tante immagini viste nei notiziari televisivi di questi mesi; le notizie del web in questi ultimi anni spaziano dai silenzi delle strade vuote per la pandemia, alle corsie di ospedale assalite dai casi di contagio, per arrivare infine alle più recenti e drammatiche della guerra. Facciamo esperienza flebile di pace in un mondo che vive la guerra, oggi come un tempo pugna est vita super terram: i latini nel loro concreto realismo riconoscevano la fatica di questa vita sempre sospesa nella conquista di una pax costantemente minacciata. Ancora oggi la pace è invocata e acclamata, richiesta per le piazze e negli appelli accorati delle assemblee governative, invocata nuovamente da Papa Francesco nel messaggio di pace della giornata mondiale del 1° gennaio 2023.

L’attimo fuggente di una “piccola pace”

Cosa andiamo cercando? Dobbiamo essere franchi: conosciamo spesso le cose per l’esperienza che facciamo del loro opposto, e solo a tratti l’esperienza quotidiana ci fa immergere nella verità del significato di questa parola. Usiamo questa piccola parola “pace” perché ne conosciamo spesso il suo opposto: la guerra e la violenza sono presenti nelle nostre vite attraverso gli schermi dei televisori o dei giochi d’azione. Nel nostro comune parlare adottiamo il termine “pace” in espressioni che in realtà non parlano di pace ma di tranquillità, come “lasciatemi in pace”, “finalmente un po’ di pace”, “lasciatemi dormire in pace!”, laddove l’assenza dell’altro va a testimoniare che forse finalmente sto recuperando il silenzio, il mio spazio. Tuttavia, la drammatica pandemia che forse abbiamo lasciato alle spalle ha testimoniato che non si conquista la pace con l’assenza dell’altro, anzi, la solitudine ha creato un solco ancora più profondo nel cuore di molti. Credo allora che, per parlare di pace, io debba fare i conti con me stessa e guardarmi nell’intimo; non riesco ad accettare che la pace sia determinata dal tempo o dalle circostanze. 

Come permettere che questo sentimento percepito nell’estatica contemplazione di un momento, sia una condizione stabile del mio essere, uno stato duraturo nel quale vivere? Come permettere alla mia esistenza di essere unificata? Come posso far sì che le continue sollecitazioni del mondo che portano il mio sguardo a disperdersi e il mio animo a perdersi non abbiano il sopravvento? Quale lo sguardo da recuperare per far sì che la pace invocata dai mass media e flebilmente trattenuta nel mio cuore sia una condizione di vita, nonostante le intemperie della vita? Come garantire la pace universale, tanto minacciata dalle 150 e più guerre in corso in questi giorni?

La famiglia, laboratorio di pace

Don Tonino Bello, in Parabole e Metafore, individua nella famiglia la scintilla indispensabile per far funzionare la scintilla della pace, non perché sia il frutto di una sommatoria, ma “in senso paradigmatico, dal momento che la scintilla di una famiglia riuscita diventa l’archetipo ineludibile della pace universale”. E il servo di Dio don Tonino definisce i perni attorno al quale ruota la fucina di pace nella famiglia, “agenzia di comunione”: il rispetto della diversità, l’accoglienza, l’“esercizio critico di ciò che nel mondo, in termini planetari, minaccia la pace”, favorire la pratica della non-violenza attiva. 

Per arrivare a questo  senso critico occorra tanta franchezza con sé stessi, riconoscendosi incapaci, o almeno in cammino in questo lavoro da compiere con noi stessi, nel nostro intimo. Ci viene in aiuto Gesù stesso che nel Vangelo di Matteo dice: “Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo” (Mt 7, 14-15). Pace allora è davvero associato alla guerra, ma ad una guerra diversa da quella che presenta il mondo. Lì le regole sono legate al raggiungimento di qualche successo effimero, di qualche posizione lavorativa da conquistare ai danni di altri con ogni mezzo.  Ciò di cui ora vogliamo parlare non sono le situazioni della vita senza conflitto, che intendiamoci favoriscono una vita più armoniosa; ciò che ci fa muovere è la guerra al cuore. Il nostro cuore, forse non ne siamo totalmente consapevoli, è in guerra e dentro di noi si scatena una lotta verso tutto quello che sembra ledere i personali diritti. Quale fatica facciamo ad accogliere chi non ci va a genio, a perdonare chi ci ha fatto un torto, a condividere con gli altri quanto sentiamo nostro. E magari parliamo di tolleranza, di fratellanza, di condivisione nei grandi raduni o dagli amboni delle chiese, mentre poi nel nostro piccolo cuore viviamo tutto il contrario di quanto diciamo. 

Una buona notizia c’è: in questa lotta con noi stessi, con il nostro peccato, siamo compresi tutti. Siamo uguali nella nostra fragile natura. Parlare del cuore è parlare del centro del nostro essere, di ciò che ci rende così terribilmente umani. 

Una guerra da giocare dentro di noi

Don Luigi Giussani diceva: “La pace è una guerra ma con sé stessi”. Pace-guerra: connubio inscindibile! Bellissimo riconoscersi così deboli ma insieme così forti da vivere questa contraddizione apparente, questa guerra con sé stessi. Primo passo allora il riconoscere che è dentro di sé che occorre affrontare la lotta senza imputare agli altri le responsabilità o affidare all’esterno la discesa in campo degli schieramenti. 

Una seconda buona notizia l’abbiamo: non siamo soli! Ci viene in soccorso la Sacra Scrittura che nel Salmo 1 dice: “Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni”. Il Signore Dio conosce il nostro cuore. Per questo nell’intraprendere la guerra con sé stessi partiamo dal riconoscimento di essere bisognosi di aiuto; non si conducono buone battaglie da soli e occorre invece armarsi a dovere: “Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?” (Lc, 14,25). 

Quali gli strumenti? Sempre la Sacra Scrittura ci aiuta e ci dà una terza chiave di lettura: “Rivestiamoci dell’armatura di cui parla san Paolo e mettiamoci a far violenza a noi stessi, alle nostre passioni, al nostro senso di autoprotezione. Armiamoci della cintura della verità, della corazza della giustizia, mettiamo come calzatura il vangelo della pace, prendiamo lo scudo della fede, l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la Parola di Dio” (cfr. Ef 6, 10).

Perché allora, tornando a don Tonino, la famiglia è il primo laboratorio? Credo perché lì ognuno, come persona inserita dentro un piccolo contesto comunitario, impara a conoscersi e a comprendere che non è da fuori che arrivano i problemi che lo minacciano ma è dentro di sé che si muovono le battaglie vere da affrontare, vincere o perdere. Pace invochiamo per questa nostra vita, e certamente per questo nostro tempo, pace e verità, pace e franchezza con noi stessi. Chiediamo una pace che sia duratura, che sia frutto di una battaglia con sé stessi che ci veda vincitori contro le potenze invisibili del nostro cuore. Sarebbe riduttivo pensare di raggiungere la pace come condizione irenica della vita a partire dal dominio delle passioni di stoica memoria; non mi accontento di pensare che sia inoltre solo frutto dello sforzo volontaristico o di una pace ottenuta dalla ripetizione di un mantra, e neanche, come abbiamo detto, condizione passeggera legata alle situazioni favorevoli oppure frutto di un certo qualunquismo o tolleranza passiva per evitare gli scontri. La vita è una battaglia, l’abbiamo detto, ma con sé stessi. 

La dimensione religiosa della pace

Rovio (CH), 6 gennaio, ore 8.00. Il sole sorge e il lago è uno specchio immobile che riflette la luce del cielo. Quale allora la fonte e la meta sorgiva di questa pace che ci risveglia? Quale il cammino percorribile per conquistarla in questo nostro tempo?

Abbiamo lasciato alle spalle il Natale nel quale sono risuonate continuamente le invocazioni al Principe di Pace; ci siamo scambiati gli auguri di pace e abbiamo letto le parole di luce e serenità di Benedetto XVI che ci ha lasciati il 31 dicembre. All’inizio di questo tempo ordinario non possiamo che fare tesoro di questo dono che la Liturgia ci offre. Che gioia allora oggi alzarsi in piedi e acclamare nell’inno delle Lodi: “O Trinità beata / Oceano di Pace”. Il nostro Dio è un Oceano di pace. Lì troviamo la fonte. Il nostro Dio, fucina di comunione, non solo ci dona la pace che ha, ma ci dona la pace che Lui stesso è. Per questo: “La Chiesa a te consacra la sua lode perenne”. Noi consacriamo al nostro Dio una lode perenne perché Egli è per noi “Pace”. 

Dall’Alto invochiamo la pace, come facciamo durante la Santa Messa quando il sacerdote chiede costantemente unità e pace per il popolo di Dio e per la Chiesa. Così, fatta l’esperienza dell’incontro d’amore con Dio in ogni celebrazione eucaristica e in ogni confessione sacramentale, ci sentiamo rivolgere questo invito “va’ in pace”. Non saremmo in grado di vivere la pace dentro di noi, e poi attorno a noi nella relazione con gli eventi della storia e con gli altri, se non ottenessimo ogni giorno in dono la pace che viene dall’Alto. Per questo, ci rivolgiamo a Colui che ai suoi apostoli diceva: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non come la dà il mondo io la do a voi” (Gv 14, 27). Non vogliamo la pace del mondo, frutto spesso di compromessi tra pochi e che porta alle guerre tra molti; vogliamo una pace che duri e che dunque può scaturire solo da Colui che è pace. Egli, Principe di pace, trasformerà le lance in falci, gli strumenti di guerra in strumenti di unità e così diverremo veri costruttori di pace, e saremo chiamati figli di Dio: “Beati gli operatori di Pace perché saranno chiamati figli di Dio” (cfr. Mt 5,9). Continuiamo a compiere opere di pace in un mondo che non sa cosa sia la pace vera, in un mondo dilaniato dalle guerre, condotte con le armi omicide e dentro i cuori feriti; in un mondo di compromessi, di menzogne e sottili sotterfugi continuiamo a operare con le armi del bene, delle virtù e della carità vera. Diveniamo segno di pace dopo aver fatto esperienza di pace nei nostri cuori; la pace è un segno, è un solco che diamo nella concretezza delle nostre giornate, segno tangibile della conversione attuata quotidianamente nei nostri cuori. Vogliamo vivere tutta l’ampiezza della nostra vita, vivendo le nostre battaglie in una sana inquietudine di cercare la pace, divenendo guaritori feriti di tanti che forse in questo tempo ordinario possono scoprire che ordinariamente siamo alle strette nel nostro cuore, ma che altrettanto quotidianamente possiamo ottenere grazia e pace da Colui che è pace: “Un frutto di giustizia è seminato per coloro che fanno opere di pace” (Giacomo 3,18). La pace è allora possibile nella ricerca di un senso da dare all’esistenza, non nell’assenza di conflitti. Si vive la pace nella certezza che tutto ha un senso, che tutto è un dono; si vive la pace nella dimensione religiosa della vita che permette di accogliere l’invito di Cristo: “Va’ in pace”. Shalom! Pace vera sia!