L’Azione cattolica è inutile

L’Azione cattolica è inutile

Smentire un luogo comune è compito nostro, non dei preti


Il termine “Azione cattolica” evoca qualcosa di vecchio, di antiquato, di ormai sorpassato. Vengono in mente sale parrocchiali disadorne, con muri scrostati, sedie messe in cerchio (ed è già un’innovazione rispetto al passato, quando erano orientate verso una cattedra, come in un’aula scolastica), un crocifisso appeso (segno di un’appartenenza, ma spesso ignorato per la scontata abitudine di vederlo), noiose riunioni di catechismo. 

Vengono in mente certe signore anziane – o considerate tali anche se non raggiungevano i cinquant’anni – che instancabili curavano la chiesa, la pulivano, mettevano i fiori, partecipavano devote alle processioni e alle adunanze, e sgridavano i ragazzini che urlavano sul sagrato quando invece era il momento di entrare in chiesa per i vespri. Questa è l’immagine che viene alla mente quando si parla di Azione cattolica in Ticino. 

Purtroppo è la stessa immagine che viene in mente anche a molti preti diocesani. Quando ricevono per posta una lettera intestata ACT, il primo istinto è quello di infilarla nel cestino. Se però capita di aprirla, ciò che viene proposto rimane lettera morta. “Una delle tante iniziative che arrivano”, si pensa subito. E la destinazione cestino diventa definitiva. 

Pochissimi prendono seriamente in considerazione l’invito. E rarissimi sono coloro che – dopo averla letta – individuano destinatari laici nella propria parrocchia dicendo loro: “Perché non vai? Sembra interessante. Poi ci racconti”. In fondo, molti di noi sono entrati in Azione cattolica in questo modo: perché il nostro prete ci ha fatto partecipare a un campo scuola, a una gita, a un incontro diocesano per giovani o famiglie.   

Non è che a livello diocesano le cose vadano meglio. La collaborazione coi pastori; il coinvolgimento dell’AC nell’ideazione di iniziative o – come capita addirittura in altre diocesi fuori dalla Svizzera – nella elaborazione del piano pastorale; la considerazione del ruolo che la nostra associazione ha nella pastorale diocesana. Alcuni addirittura ti dicono: perché non lasciate perdere di organizzare iniziative per giovani e ragazzi, e lasciate fare alla pastorale giovanile? Ma che bisogno c’è di fare incontri per adulti o coppie? Non basta la pastorale famigliare?

E così (come dar loro torto?) nessuno pensa che potrebbe essere utile accogliere, sostenere, promuovere l’Azione cattolica in diocesi, oppure nella loro parrocchia o nella loro rete pastorale.

Attenzione, però! Se l’Azione cattolica non è promossa e appoggiata, non è colpa dei preti. L’AC non esiste perché la vogliono loro, ma perché è vissuta e voluta dai laici. Se quindi l’Azione cattolica non è proposta in diocesi come qualcosa di necessario, anzi, è considerata qualcosa di inutile, la “colpa” non è del clero, ma di noi laici che non la sappiamo mostrare in tutta la sua potenzialità.  

Non è l’Azione cattolica che deve contare sui preti per sopravvivere. Sono piuttosto i preti e i vescovi che devono sapere di poter contare sempre e incondizionatamente sull’Azione cattolica per veder realizzata una strategia pastorale nella diocesi e in parrocchia, fatta insieme e non calata dall’alto, che ha come unico scopo quello di portare il Vangelo in ogni casa, di farlo conoscere perché è Gesù che in questo modo ci incontra.  

Per farlo, occorre un progetto da proporre. Occorre presentarsi al parroco dicendo: questa è la nostra lettura della realtà nella quale viviamo. Noi vorremmo metterci a disposizione perché la nostra comunità possa prendere coscienza dei bisogni e delle necessità urgenti, e possa restare accanto alle persone per rispondere alle loro domande, alle loro richieste, alle loro urgenze. L’Azione cattolica ticinese ha questo progetto di vicinanza alle persone che vivono dentro, accanto, o ai margini delle nostre comunità ecclesiali? 

Quale progetto ha l’Azione cattolica? Quale obiettivo concreto si pone? Qual è lo scopo finale del suo darsi da fare, organizzare incontri, fare riunioni? Papa Francesco ci ha messo in guardia dal ridurre l’Azione cattolica a qualcosa che si limita a fare riunioni, dibattiti, assemblee. Ci ha recentemente detto che l’Azione cattolica non dev’essere una “Sessione” Cattolica, e che la Chiesa non va avanti con le riunioni. Allora, in questo progetto, occorre metterci vita, presenza, solidarietà, amicizia, azione. 

I nostri giovani lo hanno capito molto bene. Quando organizzano giornate per stare insieme, campi scuola, settimane bianche lo fanno perché è nell’amicizia e nell’incontro con l’altro che Gesù si fa conoscere. Sono momenti in cui i ragazzi imparano a pregare, scoprono il silenzio, si avvicinano a una Parola che hanno (forse…) ascoltato solo distrattamente poche volte nella loro vita. E poi, tornano a casa. E quei momenti diventano occasione per parlarne e fare crescere un’intera comunità. 

Se i parroci lo venissero a sapere, manderebbero immediatamente i giovani della loro parrocchia a questi incontri, perché, tornando, la loro comunità si arricchirebbe di novità, di gioia, di persone responsabili e formate. 

La domanda alla quale dobbiamo rispondere, dunque, è solo questa: quale progetto abbiamo da proporre come Azione cattolica? Se a questa domanda non sappiamo cosa rispondere, vuol dire che non sappiamo fare e proporre l’Azione cattolica. E quindi è anche inutile lamentarci se i preti non ci credono.

Così come l’Azione cattolica, a quel punto, sarebbe davvero inutile.