Le parole sono come semi

La moderazione passa anche dal linguaggio che usiamo


Le parole sono come semi: ogni volta che ne pronunciamo una, “generiamo” un evento, diamo vita a qualcosa. Per questo nelle tradizioni antiche il linguaggio era considerato uno strumento potentissimo: usare bene le parole era un atto determinante per la salute. Ci sono infatti parole che ci possono far ammalare, così come parole capaci di guarirci.

Le parole possono ferire, come ricordava già nel 2° secolo a.C. Il Libro del Siracide: “Un colpo di frusta produce lividure, ma un colpo di lingua rompe le ossa” (Siracide 28, 17).

Rimproveri o umiliazioni continue, critiche martellanti o silenzi glaciali hanno un effetto debilitante e mortificante.

Sobrietà nel linguaggio significa astenersi dall’insulto, dalle maledicenze. Significa rinunciare a usare le parole che potrebbero ferire l’altro: si tratta di parlare all’altra persona come se fosse nostro padre o nostra madre.

Allora, certamente con un po’ di impegno, riusciamo a trattenere le parole – spazzatura, quelle dettate dall’impulsività, che non aiuterebbero né il nostro interlocutore, né noi.

La moderazione ci rende partecipi di una comunità di “nobili d’animo”: quelli che hanno il coraggio di essere a tratti infelici anziché arrabbiati a vita, quelli che sanno rispondere col silenzio alle provocazioni e ai torti subiti.

Basta poco per iniziare, il metodo ce l’ha illustrato il nostro Vescovo Valerio, in un’intervista rilasciata a Gianni Righinetti, del Corriere del Ticino, qualche tempo fa:

  • Cosa sogna e cosa auspica il Vescovo per l’anno nuovo?
  •  Sogno che le persone trovino maggiormente il gusto di parlare bene degli altri. Anche quando magari non sono del proprio gruppo, partito, associazione, modo di pensare. Auguro di non avere paura di dire qualcosa di bello che abbiamo visto nell’altro, perché questo potrebbe cambiare moltissimo nei nostri rapporti e riservare delle belle sorprese.

Nella nostra testa abbiamo due elenchi, retaggio dei tempi della scuola elementare: quello dei buoni e quello dei cattivi. Se ci focalizziamo sulle cose positive che abbiamo avuto dai “cattivi“ (e qualcuna c’è sempre, anche solo in termini di crescita personale), potremmo  rimpinguare un po’ la lista dei buoni, e sarebbe già un ottimo inizio…

Chi parla male di un altro parla male di sé, della sua incapacità di comprendere, di perdonare, di accettare, di lasciar perdere. Ciò al netto dell’indignazione, sempre necessaria, verso le ingiustizie e l’indifferenza: anche Gesù osò sfidare i rabbini corrotti e cacciò i mercanti dal tempio.

Sobrietà, anche nel parlare; una disciplina di vita nota già agli antichi filosofi. “Sopporta e astieniti” era il motto di Epitteto, vissuto nel primo secolo d. C., uno dei filosofi morali più eminenti di sempre.

La versione sobria di noi non è laconica, e neppure triste: ma anziché una mente che predica e accusa, ha un cuore che canta, che sceglie le parole che curano. 

“Mi piace chi sceglie con cura le parole da non dire” scriveva la poetessa Alda Merini.

Tra le regole di vita indicate dal teologo Vito Mancuso, sposo sicuramente queste: “Curare il linguaggio, ricercare le parole giuste, evitare il più possibile parole volgari e violente”.

E ricordarsi che la bellezza vive della misura.