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Lo stile di Azione Cattolica
1° febbraio 2020: alla scoperta di Cristo nella nostra vita
La decisione di sospendere per un anno i tradizionali campi estivi di giovani e ragazzi per sostituirli con due settimane indirizzate principalmente a giovani e adulti che vogliono vivere e approfondire l’esperienza, l’identità e lo stile di Azione cattolica, ha provocato amarezza e interrogativi in alcuni animatori e responsabili, ma anche un diffuso consenso tra coloro che dalla nostra associazione si aspettano una proposta educativa cristianamente ispirata.
L’incontro di sabato 1° febbraio, al quale sono stati invitati tutti, aderenti e interessati, giovani e adulti, per un momento di confronto e di chiarimento, è certamente servito a guardarci in faccia e iniziare un dialogo che forse in questi anni è stato condizionato da reciproche incomprensioni e pregiudizi. Una cosa è certa: non c’erano state in passato molte occasioni per stare insieme sulla base di qualcosa che non fosse il semplice organizzare. Con questo incontro si è invece voluta indicare una strada: conoscersi meglio in amicizia, fraternità, condivisione, correzione fraterna. Essere Azione cattolica è uno stile di vita, prima che un’organizzazione di servizi.
È stato un momento costruttivo, dove ci siamo detti cosa siamo e dove vogliamo andare. Cosa ci viene chiesto, dunque? Di essere associazione al servizio e in collaborazione con la Chiesa locale. Col vescovo, innanzitutto, partecipando agli incontri ai quali ci invita e contribuire con la nostra specificità ad organizzarli e promuoverli.
Al nostro interno, poi, dobbiamo curare la formazione cristiana. Cristiana significa che dobbiamo imparare a stare con Gesù e parlargli guardandolo in faccia. Dobbiamo diventare laici cristiani educati, formati, preparati, responsabili. Quindi l’aspetto formativo è fondamentale. Se stiamo vivendo un momento di crisi è perché in passato è mancato questo: si è ridotta la formazione ad una semplice istruzione da manuale del perfetto animatore. Per gli adulti poi, si è fatto ancor meno.
Dobbiamo infine recuperare il senso e il significato del perché siamo in Azione cattolica. Con un termine non più comprensibile a tutti, rispondere ad una vocazione. Non dobbiamo chiederci “perché” siamo in Ac: ciascuno saprebbe rispondere in base alla propria esperienza e varie sarebbero le ragioni. Dobbiamo piuttosto chiederci “chi” ci chiama in Ac. Da questa risposta dipende l’appartenenza all’associazione. Vogliamo provare a rispondere a questa domanda? Vogliamo provare insieme a scoprire Cristo nella nostra vita?
Sono domande rivolte ai giovani, ma anche agli adulti. Don Angelo Ruspini, presente all’incontro, lo ha spiegato molto bene. L’adesione, la scoperta dell’essere di Azione cattolica parte dal battesimo, fonte della vocazione. C’è un mondo da adulti nel quale realizzare la propria vocazione. Un mondo che coinvolge la professione, la famiglia, la politica.
Ciò che fa paura – e all’incontro del 1° febbraio è emerso tra le righe di alcuni interventi – è il pensare che scoprire Cristo significa passare ore in adorazione o in preghiera, in un vuoto da riempire forzatamente, senza esperienze pratiche che sarebbero quelle che i giovani oggi chiedono. In realtà è vero esattamente il contrario. Scoprire Cristo significa incontrarlo nelle persone che ci stanno accanto e con le quali condividiamo gioie e confidenze. In loro c’è Cristo e con loro dobbiamo vivere in modo integrale la nostra fede. Che prevede anche esperienze nuove di preghiera e di spiritualità, come pure un modo nuovo di stare insieme nel gioco, nel divertimento, nello studio, nello svago, nell’approfondimento, nel volontariato, nei gesti forti di carità condivisa.
Tutto ciò non è “portare l’Ac verso l’elitarismo”, come qualcuno ha sottolineato: è, al contrario, aprirsi ad un’esperienza totale di vita cristiana, senza rinchiudersi in schemi precostituiti e autoreferenziali, con l’illusione che il fare sia la risposta all’essere. C’è ancora chi, dopo anni di colonie con i giovani, è convinto che i valori proposti siano validi perché universali. Ebbene, Gesù non propone generici “valori universali”: Gesù propone un incontro. Un incontro capace di cambiare radicalmente la vita di una persona. Il vangelo non è un insieme di buoni comportamenti. È un messaggio di salvezza. I campi, gli incontri, lo stare insieme in Azione cattolica, se non sono in grado di cambiare radicalmente una vita, soprattutto quella di un giovane, sono inutili.
Resta una giusta preoccupazione sollevata da qualcuno: se per un anno interrompiamo i campi per giovani e ragazzi, siamo certi che torneranno? Non lo sappiamo. Sappiamo però che alle nuove generazioni, alle quali ci rivolgeremo l’anno venturo, quando i campi estivi e invernali riprenderanno, avremo da proporre un cammino educativo, impegnativo ma praticabile, esigente ma soprattutto rispettoso delle persone che chiederanno di partecipare. Proponendo qualcosa che solo l’Azione cattolica, e nessun altro, è in grado di proporre.