Madre di Dio e madre nostra

Madre di Dio e madre nostra

Intervista impossibile a chi l’ha conosciuta


Mese di maggio: mese di Maria. Chiediamo a chi ha compiuto con lei un tratto di strada nel tempo, di parlarci di questa donna, proclamata “beata perché hai creduto”.

Elisabetta

Beata perché hai creduto. È stato questo il mio saluto. Beata perché aveva riposto in Dio la sua totale fiducia senza chiedere quale sarebbe stata la sua missione. Ha detto il suo sì, come un’ancella umile e devota, senza conoscere ancora la povertà di Betlemme, l’angoscia della fuga in Egitto, l’immenso dolore del calvario. Per questo l’ho salutata beata, perché si era affidata al Signore, come un figlio che s’abbandona nelle braccia del padre. Il saluto “beata perché hai creduto” è il più vero che il nostro cuore può rivolgere a Maria.

Giuseppe

Era di Nazareth. Era bella e me ne sono innamorato. Sognavo un cammino con lei, una casa, una famiglia, una gioia infinita.  Quella notizia del tutto inattesa mi ha sconvolto. Il silenzio della notte era sofferenza e di giorno maltrattavo anche il legno nel chiuso della mia bottega. Vengo da un popolo che lapidava le adultere e concedeva allo sposo il ripudio, secondo la legge di Mosè. Poi quel sogno: come una rugiada benefica nel mio cuore. Capivo che la mia vita diventava una missione accanto a quella donna che amavo e a quel figlio. Con lei dovetti andare fino a Betlemme per obbedire all’ordine di un superbo sovrano straniero che voleva contarci. Fino a Betlemme, la città di Davide, perché il semplice falegname di Nazareth, discendeva dal grande re. E quella notte, che voi stranamente avete incorniciato in un orizzonte di poesia, fui attento a tutto, nonostante povertà e stanchezza, perché sentivo che l’ora di quella nascita era giunta.

Un pastore

Una notte strana: il cielo era una distesa infinita di stelle e una voce ci disse di andare e noi andammo, senza porre domande. Vidi un uomo, una donna e un bambino in una mangiatoia. Cosa potevo capire? Rimasi in silenzio e cercai di aiutarli. Quando quella donna, vedendo che si avvicinava l’alba, ci disse di andare, rimasi incantato da quella voce.  Mi ricordò la melodia di un flauto che un pastore venuto da lontano aveva suonato durante un nostro bivacco. La voce di quella donna richiamava l’infinita distesa di stelle che stava sopra di noi. Quella voce mi è rimasta nel cuore, come sorgente di speranza e fiducia.

Simeone

Quando presentarono quel bambino al tempio, in ossequio alla legge, lo presi fra le mie braccia, cogliendo nel suo volto l’attesa salvezza. “Una spada trafiggerà la tua anima”, dissi a quella donna. Non so da chi mi furono suggerite quelle parole. Lei rimase in silenzio, come se già lo sapesse.

Un servo di Cana

Non c’era più vino e quei poveri sposi stavano facendo una tremenda figura, che avrebbe rovinato il loro banchetto di nozze e forse anche il loro cammino. Notai quella donna, vidi che disse qualcosa a quell’uomo giovane che le stava accanto e poi disse qualcosa ai servi. E il vino ritornò abbondante e buono su quel banchetto. Chi era quella donna? Come aveva capito? 

Cireneo

Non potevo immaginare, come tornavo dal mio campo, di ritrovarmi in quella tragedia. Lo aiutai a portare quella croce, obbedendo al comando dei romani, che noi tutti temevamo. Salii in silenzio, senza riuscire a dire una parola di conforto a quel condannato, che non conoscevo, ma del quale avevo sentito ogni bene. Vidi una donna e pensai che fosse sua madre. Il suo volto sofferente, ma pure sereno, mi è rimasto nel cuore e mi ha accompagnato nel mio cammino, fino al giorno ultimo della mia vita nel tempo.

Centurione

Proprio un romano doveva firmare la sentenza più ingiusta della storia. Attendevo un ordine di Pilato e ben volentieri avrei caricato quella folla inferocita e bastarda, aizzata contro quell’uomo. Doveva essere un filosofo, magari un sognatore, ma certamente non aveva fatto del male a nessuno e non meritava quella croce. 

Avrei voluto dirlo a quella donna, che stava in silenzio, ma non osai avvicinarmi. In quell’ora tremenda, mentre nubi di paura s’avvicinavano al sole, avvertii una forte compassione, senza poter fare nulla. Ma se un ufficiale della grande Roma violenta, che aveva ai suoi piedi il mondo intero, si commuoveva davanti ad una croce, era segno che la storia degli uomini conosceva una svolta. Lo sentivo, anche se non lo capivo.

Giovanni

Ero giovane, molto giovane, ancora un ragazzo. Per la prima volta vedevo la cattiveria degli uomini in tutta la sua durezza. Nessuna pietà verso quel nostro Maestro che tanto bene aveva compiuto e che aveva lasciato ovunque un messaggio di pace e bontà. Perché tanta cattiveria e crudeltà? Accanto a quella croce stava la madre, Maria. Il suo silenzio era l’eco di profonda sofferenza, perché non c’è dolore più grande di quello di una madre che vede morire la vita da lei generata. Ma il suo volto, pur tanto provato, rivelava anche la speranza che germogliava nel suo cuore.

Prima di morire il Maestro mi affidò a lei, con quelle sue parole che avevano il sapore dell’eterno: “Donna, ecco tuo figlio; figlio ecco tua madre”.

Quando lo deposero dalla croce lo accolse fra le sue braccia e vidi l’infinita dolcezza di quella madre verso il figlio, la cui morte diveniva sorgente di vita per sempre.

Pietro

Maria, la madre, stava con noi in preghiera nel cenacolo. Era una presenza di luce e silenzio. Il nostro cuore si univa al suo nell’attesa dello Spirito che ci avrebbe dato il coraggio, la forza e pure l’entusiasmo di andare ovunque lungo le strade del mondo e dei cuori, per un annuncio che cambiava la storia, seminandovi l’unica e vera speranza, germogliata da una croce.

La madre viveva con noi l’evento misterioso, ma vero della risurrezione.