Papa Benedetto e Fratel Biagio

Papa Benedetto e Fratel Biagio

Assieme nella luce di Dio


Oggi, i diversi mezzi di comunicazione costituiscono degli strumenti straordinari. Informazioni aggiornate, discussioni, dialoghi. Tuttavia, sono anche elementi che creano confusione. Così la morte di Benedetto è diventata l’occasione di cattiverie, opposizioni, violenze verbali, scontro di sostenitori di squadre opposte o di partiti politici. “Santo subito”, “Padre della Chiesa”, il teologo più grande del secolo; oppure il responsabile di tutti e non piccoli problemi che in questo tempo pesano sulla Chiesa (papa tradizionalista, quando addirittura reazionario, responsabile di un ritorno alla liturgia preconciliare). E poi, orribile, il gioco di chi ha approfittato per opporre i due vescovi di Roma: Benedetto e il suo successore Francesco. Lo stesso rito funebre è stato interpretato con questa chiave. Un rito semplice, senza i segni tradizionalmente usati per un papa defunto; per molti uno sgarbo. E invece semplicemente l’espressione liturgica di una realtà: il rito di accompagnamento e di preghiera per un credente che ha servito la Chiesa, come battezzato, presbitero, teologo, vescovo e pastore, ma non, al momento della morte, vescovo di Roma, cioè Papa della Chiesa cattolica. Lasciamo l’abusato aggettivo “grande”, ma dobbiamo riconoscere che Ratzinger, teologo presbitero vescovo papa ha fatto della sua vita un pieno, generoso servizio alla verità e alla Chiesa. Il termine verità non è adoperato a caso, perché credo che il cuore della sua riflessione filosofica e teologica sia stato l’amore della verità, la convinzione che l’umanità possa conoscere la verità nella conciliazione tra fede e ragione, con la convinzione che l’essere umano, fragile e limitato, può conoscere Dio. Il magistero di Papa Benedetto ha toccato e affrontato tanti temi, ma il cuore del suo pensare e annunciare la fede è proprio questo. 

A quanto appena detto (fede, ragione) è necessario aggiungere e ricordare l’altra realtà fondamentale e necessaria per la Chiesa e ogni credente. Il riconoscimento e l’accoglienza dell’evento della rivelazione. Ottobre 1962, inizio del concilio Vaticano II. Come tanti altri studenti seminaristi ero arrivato a Roma, per la prima volta, per intraprendere gli studi teologici. Eravamo affascinati dalla scoperta di Roma (molto meno caotica di oggi!), felici e stupiti di essere testimoni del concilio convocato da Giovanni XXIII; felici di incontrare vescovi di ogni continente, teologi di cui avevamo già letto qualche scritto, curiosi di sapere che cosa e come si discuteva dentro il concilio. Qualche cosa filtrava: le prime discussioni in assemblea conobbero momenti di tensione, in parte dovuti al fatto che la maggioranza dei vescovi non accettava i testi preparati prima. Uno dei più importanti riguardava il tema della rivelazione: come è possibile conoscere la verità che è fondamento e oggetto della fede e della vita cristiana. Nel giro di poche settimane, cominciò a circolare un progetto (ciclostilato come usava allora), che arrivò anche nelle nostre mani (e che conservo ancora), che offriva una visione nuova circa l’evento straordinario del dono della rivelazione da parte di Dio. Inoltre, rimetteva al centro l’importanza della Sacra Scrittura. Questo scritto affidato ai vescovi era il frutto dell’impegno di due teologi: Karl Rahner e Joseph Ratzinger, allora giovane teologo al servizio di un cardinale tedesco. Il primo noto perché più anziano e con già numerose pubblicazioni, il secondo allora teologo poco conosciuto al di fuori dell’ambiente tedesco. Da questo testo è nato il documento più importante del Vaticano II, la costituzione dogmatica sulla rivelazione. Ricordo questa vicenda, non soltanto perché ci ha dato il testo più bello e importante del Vaticano II, con l’affermazione forte che la Scrittura è la testimonianza della rivelazione, ma perché tutta la teologia di Benedetto si sviluppa in questa luce. Forse lo scritto più importante di Ratzinger teologo rimane la Introduzione al cristianesimo, un commento al “credo” della Chiesa, che in realtà è una riflessione al contenuto della rivelazione, testimoniata dalla Scrittura e accolta e trasmessa e vissuta dalla Chiesa. Anche per questo la liturgia, Introduzione allo spirito della liturgia, rimane uno scritto importante di Benedetto (indipendentemente dalle sue decisioni, e forse simpatie, in merito alla forma tridentina del rito). Occorre ricordare questi orizzonti teologici di Ratzinger (come la sua attenzione a Agostino e Bonaventura) per capire come il suo pensiero che pure insiste sulla ragione, ha una forte sensibilità esistenziale. Gli scritti del teologo e poi del pastore toccano diversi campi e non è possibile ricordarli tutti (con un elenco di titoli che in queste pagine non avrebbe senso). Di Benedetto Papa, ritengo fondamentali le tre lettere encicliche sulla fede, (Dio è amore 2005), speranza (Salvati nella speranza 2007), carità (La carità nella verità 2009), che tracciano il cammino della vita cristiana. 

È da ricordare anche un aspetto della vita e dell’agire di Benedetto, che spesso è non evidente (anche a causa di prese di posizione e decisioni di quando era prefetto della Congregazione della fede): era egli un uomo di dialogo? Nonostante apparenze contrarie, si deve riconoscergli questa capacità. Infatti, era capace di ascolto attento e partecipe, anche davanti a pensatori e filosofi estranei alla fede cristiana; ma poi estremamente chiaro nel dire il suo pensiero e le sue convinzioni (attento al dialogo anche con le altre religioni, in primo luogo l’ebraismo e poi l’islam, nonostante qualche incidente, come in occasione del suo intervento a Ratisbona). 

Non era mia intenzione scrivere in maniera esaustiva o sviluppare temi non adatti a queste pagine della rivista. Se la lettura non è facile, chiedo perdono ai lettori. Ma per finire voglio ricordare un avvenimento di qualche giorno dopo la morte di Benedetto. Una storia tutta diversa. Il 12 gennaio, una settimana dopo il rito funebre celebrato in S. Pietro, è morto fratel Biagio, che tutti ormai conoscono. Un vero cristiano, fatto povero non solo per aiutare i poveri, ma per essere con loro come loro. Fratel Biagio ha vissuto secondo il vangelo alla lettera, camminando sulle tracce di S. Francesco. Mi pare bello ricordarlo qui, proprio in queste pagine dove la memoria è andata a una figura importante nella vita della Chiesa, un teologo e un papa. Mi sembra bello ricordare assieme Benedetto e Fratel Biagio. La Chiesa ha bisogno di ministri, teologi, papi, ma anche (soprattutto) di testimoni che parlano con la vita, soprattutto quando è donata evangelicamente ai poveri. Non intendo in alcun modo diminuire il ministero papale. Ma nel vangelo di Matteo (25), Gesù dice che il giudizio finale ha un solo criterio: “quello che avete fatto ai più poveri, l’avete fatto a me”. Necessari i ministeri della Chiesa; più importante di tutti è il servizio ai fratelli. Benedetto e Biagio sono assieme nella luce di Dio.