“Pensare alla morte ci rende più forti, oggi”

“Pensare alla morte ci rende più forti, oggi”

Da trent’anni ci ha lasciato padre David Maria Turoldo


Sono tante, tantissime le persone che ho avvicinato e raccontato attraverso le interviste, che è una delle forme di giornalismo a me più care: che è porgere la parola all’altro per cercare di capire qualcosa di un percorso, di un’esperienza, di una vita. Innumerevoli storie, ognuna diversa dall’altra e tutte con l’umanità in fondo al viaggio, per scoprire e far emergere un vissuto. Molti gli avvicinamenti anche a un mondo delicato, dove protagonista è il dolore nelle infinite declinazioni che ogni sensibilità presenta e lascia trasparire. Un protagonista che ha segnato in profondità questi miei avvicinamenti è Padre David Maria Turoldo, franco e sincero anche nello svelare la sua lotta contro il male, “il drago” come egli stesso lo definì, che stava avendo ragione del suo forte fisico. Non si perse mai d’animo: combatté a oltranza e fino all’ultimo celebrò la vita. Da 30 anni ci ha lasciati: il 6 febbraio 1992.

Siamo nel mese che propone una sosta anche sul calendario per una riflessione sul piccolo e al tempo stesso immenso pianeta della sofferenza. La “Giornata del Malato” non può essere chiusa nello spazio di 24 ore, un giorno come un altro, tutti con una finalità da evidenziare e ce n’è per tutti i gusti. È un’occasione per fermarsi, per incontrare qualcuno della cerchia familiare o delle amicizie che è in cura per recuperare la salute. Che è un bene molto fragile, di cui scopriamo l’importanza quasi sempre quando c’è un’improvvisa spia che si accende nel nostro motore fisico e ci troviamo a fare programmi diversi rispetto a quelli previsti. 

Turoldo ci ha fatto “esplorare” cosa si scatena e si agita dentro ciascuno quando c’è “quella notizia” che cambia – almeno per qualche giorno – il corso delle nostre esistenze. Se poi la diagnosi, come nel suo caso, è di quelle dure, non si può tergiversare. 

Da due anni siamo confrontati con un’emergenza che ha lambito molte nostre famiglie, facendoci purtroppo toccare con mano la fragilità. All’improvviso un evento planetario come il covid ci ha stravolto tutto della nostra normalità, che sembrava ormai inattaccabile: “e di altra natura/ si fanno le cose e i giorni./ Subito senti il tempo franarti/… né con gli amici ti troverai la sera…”.

Nel marzo del 1991, Turoldo venne a un convegno in Castelgrande, a Bellinzona dove ci si stava interrogando se siamo avviati verso una società indolore. Un consesso di personalità d’alto profilo nei vari campi di provenienza. Lui, il “covone biondo” come l’aveva definito lo scrittore Luigi Santucci, non esitò ad andare controcorrente. Evidenziò senza perifrasi l’importanza del dolore, senza il quale – disse – diventeremmo individualisti, egoisti, blindati nelle nostre certezze, dei prepotenti e forse superuomini. La sofferenza porta ad aprirci, a capire gli altri, a essere solidali, a uscire dalle solitudini in cui ci rifugiamo. Al tempo stesso però, il frate friulano esortò a impegnarsi per la vita, a combattere per la salute, come egli stesso stava facendo, a tenere alta, sempre, la speranza. Anche l’amore si fa più forte nel dolore. Forse dovremmo imparare a pensarci con qualche anticipo. Perché il dolore è un continuo fare i conti con sé stessi, con il risultato di qualche cambiamento in noi e nelle relazioni con gli altri.

(Foto Jo Locatelli)