POPOLO DI DIO 4.0

POPOLO DI DIO 4.0

Nuovi media: come abitare i luoghi della comunicazione


Mi sono arresa ad accettare lo smartphone come protesi personale solo quando ho dovuto imparare ad utilizzare gli apparecchi acustici; l’audioprotesista mi aveva spiegato che dovevo regolarli attraverso un’APP del cellulare, scegliendo a seconda degli ambienti un programma apposito. Un lungo addestramento, poi ho ceduto, e da allora ci sento benissimo!

Credo pertanto che riuscirò a passare anche all’Internet 4.0, quello della realtà aumentata, utilizzando degli occhiali/visori che, mentre osservi qualcosa, come un’enciclopedia virtuale ti mostrano al contempo tutto quello che si sa su quella cosa, oppure ti immergono in situazioni storiche del passato, facendoti esplorare come si svolgeva la vita quotidiana nei secoli precedenti.

Un po’ più di attenzione la riserverò certo se dovrò entrare nel “Metaverso” di Mark Zuckerberg (l’ideatore di Facebook), un mondo virtuale dove il nostro alter ego digitale (avatar, l’immagine di noi che inseriamo nel nostro profilo) potrà giocare, comprare, trascorrere tempo con gli avatar degli altri. Qualche dubbio rispetto al rimanere inchiodati in questo social, inventato per orientare i nostri acquisti e persino il nostro voto politico, penso sia legittimo.

Noi, popolo di Dio, potremo davvero rifugiarci in questo cuscino di irrealtà? È il quesito posto al punto 3 del documento elaborato per la consultazione Sinodale dall’équipe della diocesi di Lugano, PRENDERE LA PAROLA: Come abitiamo i luoghi della comunicazione, in particolare quelli più immediati come Facebook, Instagram, Tik Tok ecc?

Dagli indizi che ho rilevato durante l’uso sempre più pervasivo della connettività durante i due anni di pandemia ho potuto capire che utilizziamo questi luoghi per condividere quel filo di valori che costituisce il nostro essere Chiesa. Stiamo utilizzando le piattaforme di Zoom, Google meet, Skype per ritrovarci a riflettere insieme sui Testi Sacri della domenica (vedi la piacevole esperienza del Club del Vangelo). E utilizziamo le Chat di WhatsApp per raccogliere scarpe e maglioni per i migranti afghani della Rotta Alpina o cibo e coperte per i nostri poveri. Il nostro cristianesimo si dimostra in primo luogo in buone azioni, sarebbe bello se gli altri potessero riconoscerci come cristiani da queste azioni!

I futurologi dicono che siamo già nella “Società delle mangrovie”, le piante che vivono dove l’acqua dolce del fiume si immette e si mescola nell’acqua salata del mare: così anche per noi online e offline si affiancano e si mescolano nell’esperienza quotidiana. Ma l’uomo ha una specificità che lo differenzia dal computer, oltre che da tutti gli altri viventi. Il computer è programmato solo per vincere, ad esempio in una partita agli scacchi non può far altro che vincere, perché è in grado di elaborare in pochi istanti una mole di informazioni che nessun uomo potrebbe mai. L’uomo invece è capace di perdere per far del bene all’altro, magari per compiacere qualcuno più debole che non abbia mai vinto. In questo perdere riscontriamo lo specifico del cristiano: l’amore non segue la logica mercantile dello scambio. E se mai dovessimo mandare sul Metaverso un nostro avatar, che ci somigli, potrà avere molti volti, ma sicuramente non quello dell’odiatore (hater)!