Santi del quotidiano e delle piccole cose

Santi del quotidiano e delle piccole cose

Festa a Milano per Armida e don Sergio


“Che cosa potrebbe fare una ragazza di buona famiglia, che ha studiato all’estero, che ha una bella casa di vacanza in montagna, che vive in un contesto in cui è bene che le ragazze stiano chiuse in casa, in un momento in cui si pretende che i cattolici stiano chiusi nelle sacrestie, in un contesto in cui essere cristiani significa essere considerati ottusi e irrilevanti per la cultura e le sfide contemporanee? Cosa potrebbe fare una ragazza in questo contesto? Ecco, per esempio, può diventare santa”. 

Sono parole dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, dopo che santa lo è diventata davvero, Armida Barelli, durante la celebrazione avvenuta nel duomo di Milano il 30 aprile scorso, durante la quale è stato beatificato con lei anche un modesto prete di un paesino della Brianza, don Mario Ciceri, mai diventato parroco e oggi paragonato al santo curato d’Ars. Armida Barelli, al contrario, è stata una grande protagonista della prima metà del Novecento, dando vita a numerosissime opere che ancora oggi incidono nella cultura e nella società, presenti in Italia e in diverse parti del mondo. Terziaria francescana, fondatrice della Gioventù femminile di Azione cattolica, dell’Università cattolica del Sacro Cuore, dell’istituto secolare Opera della Regalità, è stata esempio e modello anche per moltissime giovani e donne ticinesi, riunite nella nostra Unione femminile. 

Un riconoscimento – quello della sua santità – che non deve allontanare una figura straordinaria mettendola su un irraggiungibile piedistallo, quanto piuttosto diventare un esempio di ciò che ogni ragazza può diventare, se vive la propria quotidianità in sintonia con la volontà del Padre e nella fedeltà alla chiamata di Gesù. Nonostante le difficoltà e le prove che la condizione femminile costringe ad affrontare nella società e nella Chiesa. Un auspicio che si è trasformato in preghiera sotto le guglie del duomo milanese: “Ti affidiamo in particolare, Signore, le donne che subiscono violenze e non vedono riconosciuta la propria dignità – è stato chiesto durante la messa – quelle che vivono l’incubo della guerra e della miseria, ma anche quelle che rivestono ruoli di responsabilità e quelle che quotidianamente e silenziosamente si prendono cura della famiglia, tessendo la trama di relazioni buone. A tutte dona coraggio, forza, mitezza e sapienza, perché ovunque e sempre sappiano custodire e far fiorire la vita sull’esempio della beata Armida”. 

Presentando la sua biografia durante la celebrazione presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, in rappresentanza del santo Padre Francesco, la postulatrice della causa di beatificazione, Silvia Correale (conosciutissima anche in Ticino per aver seguito i primi passi dei giovani di AC negli anni Novanta) ha sottolineato come Armida Barelli «camminò nell’amore» con una costante limatura del suo temperamento. Infelice espressione, quella della “limatura del suo temperamento”, che può apparire elemento di remissività in una donna che, al contrario, seppe tener testa a papi e vescovi in tutta Italia quando cercavano di frenare e contenere la travolgente volontà di donne e ragazze che nell’Unione e nella Gioventù femminile operarono con entusiasmo, rivoluzionando un apostolato che sembrava essere esclusiva prerogativa dei maschi: uomini laici, preti o religiosi. Armida fu promotrice di un cattolicesimo inclusivo, accogliente e universale. Nella stagione del ritorno alla democrazia dopo la triste stagione del nazionalismo e la devastazione della guerra, spronava le donne, per la prima volta chiamate al voto, a “capire quali sono i principi sociali della Chiesa per esercitare il nostro dovere di cittadine” perché, diceva, “siamo una forza, in Italia, noi donne”. 

Al termine della celebrazione è intervenuto mons. Delpini, con le parole già citate: “Le foto che abbiamo scelto per far conoscere la beata Armida e il beato Ciceri – le migliori di cui disponiamo – forse ci fanno pensare alle vecchie zie che non si sono sposate, e al vecchio zio prete che in famiglia si ricorda come uno che è morto giovane; che hanno vissuto tempi che ci appaiono improbabili e anacronistici. In realtà più si conoscono e più si scoprono vivi e imitabili”. E la presenza di quasi duemila persone in duomo – purtroppo un “numero chiuso” in questo difficile tempo di restrizioni – ne testimoniavano la forza e l’attualità del loro esempio. Tra i presenti, c’erano anche il Ticino e la nostra Azione cattolica, accanto ai presidenti dell’AC italiana, Giuseppe Notarstefano, e ambrosiana, Gianni Borsa. Una presenza limitata, la nostra, in rappresentanza delle moltissime socie ticinesi dell’Unione femminile che da molto tempo speravano di poter vivere di persona questo momento, e che per l’età avanzata o perché già chiamate a partecipare alla pienezza della vita, non hanno potuto scendere a Milano. Ma hanno sentito, nella fedeltà al Vangelo e nel servizio alla nostra Chiesa locale, la presenza di questa “sorella maggiore” salita all’onore degli altari come, appunto, presenza “viva e imitabile”.  

Solo quindici giorni prima, una delegazione dell’associazione femminile ticinese si era recata a Milano sulle orme e nei luoghi di Armida Barelli. Un pellegrinaggio iniziato nel duomo di Milano per pregare quella che Armida definiva l’unica presidente dell’AC femminile – la Madonna che ci protegge – e soffermarsi per un momento di preghiera e di raccoglimento sulla tomba del cardinale Carlo Maria Martini. Proseguito poi in arcivescovado, accolti dal vicario generale della diocesi di Milano, mons. Franco Agnesi, che ha voluto trasmettere i saluti dell’arcivescovo Delpini. Un incontro cordiale e amichevole che ha riportato mons. Agnesi agli anni in cui è stato assistente generale dell’AC ambrosiana. 

Poi, il gruppo si è spostato nella vicina via Sant’Antonio dove si trova la storica sede dell’Azione cattolica milanese. Qui, il coinvolgente incontro con Maria Teresa Antognazza, già vicepresidente dei giovani, giornalista e autrice di un libro a fumetti sulla vita di Armida Barelli, illustrato da Bruno Dolif (Edizioni ITL/in dialogo). È stato un momento di fraternità (anzi, di sorellanza) che ha permesso di conoscere Armida, la sorella maggiore, nel suo ambiente associativo, tanto simile a quella sede in via Nassa a Lugano, dove le sorelle dell’Unione femminile cattolica ticinese si ritrovavano per formarsi spiritualmente e culturalmente per lasciare poi il segno (e che segno!) tra le famiglie, nelle parrocchie, nei paesi in Ticino. “Chiamare sorelle le sue associate – ha sottolineato fr. Massimo Fusarelli, ministro generale dei francescani durante la veglia che ha preceduto la beatificazione nella basilica di Sant’Ambrogio – è un termine significativo: chiamarle ‘carissime’ sarebbe stato troppo generico e formale; ‘amiche’ troppo convenzionale; ma ‘sorelle’ implica una uguaglianza che dà alla maggiore solo un primato di responsabilità”.  

Infine, la visita in Università Cattolica dove, nella cripta della cappella, riposa Armida, morta il 15 agosto, festa dell’Assunta, del 1952 nella sua casa di vacanza a Marzio, a due passi da Ponte Tresa. Accanto a lei, nella stessa cripta, le spoglie di altre figure legate all’ateneo milanese. Tra loro, il “locarnese” Contardo Ferrini, altra figura straordinaria del laicato cattolico.

Le parole di mons. Delpini diventano così, concrete e reali: “Nella preparazione di questa celebrazione abbiamo discusso molto sul numero dei presenti in duomo, sui distanziamenti e le mascherine, su come celebrare insieme personalità così diverse: forse ci siamo distratti dall’essenziale. Questo evento ci apre una possibilità e rivolge un invito: diventate santi”.