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Ticinese o non ticinese? Questo è il dilemma
Per un dialogo sinodale sul tema dell’ “origine” del vescovo
l periodo di attesa per la nomina del nuovo vescovo di Lugano è stato sin da subito caratterizzato dalla presenza rassicurante dell’amministratore apostolico mons. Alain De Remy. A molti è certamente sorto spontaneo il pensiero che il vescovo romando sarebbe un ottimo vescovo per il Ticino. Come noto questo non è possibile, a causa della clausola risalente alla convenzione 1888 secondo la quale lo stesso Vescovo di Lugano deve essere scelto tra sacerdoti cittadini ticinesi (nel testo originale in francese “ressortissants tessinois”). Negli scorsi mesi un comitato promotore composto da Luigi Maffezzoli, Maddalena Ermotti-Lepori e Giancarlo Seitz ha chiesto di poter rimettere in discussione questa clausola ritenuta “superata e figlia del suo tempo”, consegnando al Consiglio federale e alla Nunziatura la richiesta.
Senza entrare nel merito delle tempistiche (forse poco felici) e della sostanza (2’351 firme su 200mila cattolici sinceramente non sono molte), occorre riconoscere all’iniziativa il merito di aver lanciato un sasso. Comprensibilmente dalla Curia non sono arrivate dichiarazioni in merito, il periodo di transizione è sempre delicato, ma dalla realtà diocesana si sono anche levate parecchie voci critiche, se non fermamente contrarie, alla revoca della famosa clausola.
Ora la palla dovrebbe passare al Consiglio di Stato ticinese, che dovrà prima di tutto capire se accogliere o meno questa richiesta: in questa complessa vicenda è auspicabile che ci sia il coinvolgimento a più livelli dell’intero tessuto ecclesiale. Per riprendere il tema del dialogo – proposto questo mese da Spighe – appare importante continuare nel solco del cammino di Chiesa sinodale, in cui ognuno possa esprimersi e portare idee, accogliendo allo stesso tempo le idee altrui, per crescere e discernere insieme. I temi da considerare sono molteplici, partendo dal contesto diocesano, dalla situazione del clero, dalle prospettive per i prossimi anni o decenni. Allo stesso tempo occorre anche tenere conto delle peculiarità della nostra realtà, un piccolo Sonderfall nel Sonderfall elvetico, inserito in un doppio contesto di netta minoranza, sia verso nord a livello nazionale, sia verso sud nei confronti della realtà italiana. Non vanno neppure ignorate o sminuite le motivazioni storiche e diplomatiche di questi accordi, che garantiscono anche un “privilegio” non indifferente fornito alla diocesi, quella di poter scegliere il vescovo tra i propri presbiteri. Una possibile soluzione – almeno transitoria – potrebbe essere quella di interpretare, se necessario, quel “ressortissant tessinois” in modo più largo e meno selettivo? Includendo tra i possibili candidati i sacerdoti incardinati da molto tempo in diocesi? Ciò che è invece certo, è che i tempi e le procedure per un’eventuale abolizione della clausola comportano un iter ben più lungo rispetto a quello della scelta del prossimo vescovo di Lugano, che pertanto sarà verosimilmente ancora “ressortissant tessinois”.