Un’area di sosta per riprender fiato

Un’area di sosta per riprender fiato

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Lungo le mulattiere e i sentieri percorsi quasi a memoria tanto erano familiari dai contadini, padri con figli al seguito, perché imparassero presto il sacrificio dell’impegno, c’erano degli spazi un po’ più vasti, sottratti al bosco, che servivano per riposarsi, riprendere il fiato e le energie e ripartire. Erano le “aree di sosta”, sotto il peso di fascine di legna o gerle di fieno. Si dava un po’ di sollievo alle spalle e alla schiena, poi si ripartiva. Adesso su quei sentieri ci si imbatte raramente in contadini incurvati dalla fatica, ma il significato di quel breve intervallo dalla fatica rimane. Questa “area di sosta”, fra pagine che peraltro ne sono punteggiate come gli antichi sentieri della civiltà cara a Angelo Frigerio, vuole proporre un momento per tirarsi giù di dosso il basto di notizie che tolgono il fiato. La cronaca è dominata dalla negatività, ma oltre al pessimismo cronico e vorticoso c’è infinitamente dell’altro. Ci sono persone che con le loro testimonianze di vita incoraggiano l’ottimismo, sono suscitatori di positività, diffondono bagliori di luce. E portano qualche seme di utile ottimismo. I vecchi contadini mordevano un “Brissago” per illudere i passi del cammino, io mi tengo un filo d’erba verde tra le labbra. D’altronde, verde è anche il colore della speranza, o no?